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Indignarsi talvolta si deve, ma prima bisogna essere bene informati

Renato Balduzzi giovedì 7 settembre 2017
La discussione pubblica è stata considerata, per lungo tempo, come un ingrediente indispensabile per il rafforzamento della vita democratica, quasi una sua precondizione. Nel libero confronto delle diverse opinioni sui temi della convivenza civile sta il terreno positivo di coltura che può consentire la formazione dell'opinione pubblica, che costituisce lo sfondo di ogni esperienza democratica. Difficile contestare questi assunti.
La loro fondatezza in concreto presuppone però che vi sia una corretta informazione, che cioè l'opinione si formi avendo chiari i termini del problema e i dati che lo riguardano. Tutto ciò rimanda naturalmente all'esistenza di operatori della comunicazione a loro volta informati e corretti, capaci di discernere quali siano le fonti affidabili della notizia e di valutare la sua eventuale falsità, in tutto o in parte.
Queste esigenze hanno portata generale, cioè concernono qualunque procedura decisionale e qualunque decisore: per deliberare e decidere occorre conoscere, e questo vale per tutti, a livello individuale, familiare e pubblico-collettivo. Quando poi i problemi hanno uno spessore tecnico o tecnico-scientifico, tali esigenze si presentano in modo ancora più acuto, essendo impensabile ipotizzare in capo a ciascun consociato una conoscenza specialistica nei diversi settori: di qui la necessità di divulgatori specializzati, capaci di rendere il senso delle questioni depurandole dai profili più tecnici, o dai dettagli non essenziali. Ovvietà? Tutt'altro, almeno a stare ad alcune discussioni di casa nostra sul funzionamento della giustizia e della giurisdizione.
Pensiamo a gran parte dei commenti al provvedimento di scarcerazione di un richiedente asilo indagato per violenza sessuale ai danni di un tredicenne disabile: come non cogliere lo scarto tra la modesta, o nulla, attenzione ai profili tecnici (condizioni e presupposti) del provvedimento del giudice e al contesto concreto da cui esso è scaturito, rispetto al (più che comprensibile, si badi) coro di indignazione e preoccupazione per l'effetto del provvedimento medesimo? O ancora al forte impatto della notizia secondo cui il pensionamento anticipato di un presidente di corte d'appello avrebbe comportato l'azzeramento di un importante processo (l'ultimo filone di una lunga vicenda): con fatica un lettore, anche attento, avrebbe potuto comprendere, nella massa delle parole indignate, che la ragione vera della rinnovazione del dibattimento non stava nel predetto pensionamento, bensì nella necessità di applicare una recente normativa, volta ad adeguare il nostro ordinamento a un orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo (secondo cui il giudice d'appello non può riformare una sentenza di assoluzione sulla base di una diversa valutazione delle testimonianze, a meno che queste non vengano di nuovo rese). Insomma: indignarsi è talvolta giusto e doveroso, ma prima bisogna essere bene informati.