Rubriche

In ricordo di Gianni Carbone, un "grande" che rischia di essere dimenticato

Paolo Massobrio mercoledì 4 gennaio 2017
Quando a maggio dello scorso anno, all'ultimo giorno del Cibus di Parma, si radunarono i Ristoranti del Buon Ricordo, Gianni Carbone, che aveva sviluppato la focacceria di famiglia rendendola un'oasi del gusto a Recco, era seduto in prima fila. Da poco aveva perso la moglie, ma lui era lì, presente, a rimarcare una storia di accoglienza. Con tre dei suoi figli, Gloria, Cristina e Cesare, portava avanti "Manuelina", un ristorante accogliente, ma anche una focacceria più informale, dove assaggiare la mitica focaccia col formaggio; quindi un hotel e anche un negozio coi prodotti dei fornitori, che tre anni fa animarono la festa dei 125 anni. Ma Gianni Carbone, 88 anni, ci ha lasciati il 2 di gennaio, serenamente. Era un uomo di fede, di grandi sorrisi e poche parole. Due mesi fa lo incontrai nella chiesa di Recco, in prima fila, alle 12, quando la gente incominciava ad affollare il ristorante per assaggiare i pansoti al sugo di noci che lui aveva portato in televisione negli Anni Sessanta; quindi il cappun magro, ma anche la cucina di pesce dei giorni nostri, codificata dal figlio Cesare. Stasera alle 18.30, in quella chiesa, entrerà per l'ultima volta, con l'abbraccio di tanta gente, che lo ricorderà come sindaco, ma anche animatore della Pro Recco, e della focaccia Igp, che lui concepì come patrimonio collettivo. Lascia il suo ristorante, dove è stato fino all'ultimo, per cogliere la soddisfazione dei clienti divisi nelle due sale festose. Lo lascia all'apice dello sviluppo e, sbirciando le guide ai ristoranti, scopri che il Gambero Rosso annuncia come novità dell'anno l'apertura della focacceria a Milano (ha aperto il 5 dicembre 2014, per la cronaca. Sigh), mentre la guida Michelin addirittura lo ignora. Non c'è più "Manuelina". O non ci sono più andati, intenti a seguire i fenomeni del momento, che difficilmente possono vantare un parterre di fornitori ricercati come ha "Manuelina": le acciughe del Levante, il Vermentino, l'olio extravergine di oliva e almeno altre trenta referenze, frutto di pura passione. Sembra che la critica (acritica) abbia scelto di archiviare i ristoranti storici, dove la gente continua da andare, quasi come un ufficio dell'Inps che decreta la pensione. Poco importa se invece un locale si reinventa, progredisce, sviluppa una moralità di rapporto con il cliente che non tradisce mai. Questi locali dovrebbero avere un albo storico, riconosciuto dal Governo, perché sono un patrimonio del Paese, esempio di impresa sana. Invece restano in balia di guide svogliate. Gianni Carbone – e gli chiedo una postuma scusa – non avrebbe mai fatto sue queste polemiche, perché era un positivo che guardava avanti, con il sorriso. Ma non si può tacere che questo uomo, col senso della famiglia e dell'accoglienza nel suo Dna, sia stato un grande.