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In Mauritania tolta condanna ingiusta

Stefano Pasta mercoledì 10 gennaio 2018
Il 2018 è iniziato senza che fosse più in cella Mohamed Mkhaïtir, il blogger condannato a morte in Mauritania per un post "blasfemo" su Facebook. A novembre, la Corte d'appello ha annullato la sentenza del 2014. Per Amnesty International è una delle buone notizie dello scorso anno. Nel 2013 Mkhaïtir aveva pubblicato un testo nel quale criticava l'uso della religione per giustificare pratiche discriminatorie contro la casta dei blacksmith, a cui appartiene.
In Mauritania, segnata da un forte contrasto culturale tra il Nord arabo-berbero (70% circa dei 3,6 milioni di abitanti) e il Sud più legato all'Africa nera, il potere è rigidamente distribuito secondo un sistema di caste, con la popolazione di origine araba al vertice della piramide. È l'organizzazione su ci si basava il sistema della schiavitù (i gruppi etnici neri erano schiavi), sulla carta abolita ma di fatto ancora presente. I blacksmith sono artigiani che, per esempio, non possono per legge essere eletti in Parlamento o divenire sindaci.
Molte violazioni sono basate sulla religione, solo i musulmani possono ottenere la cittadinanza e chi si converte la perde. Mkhaïtir, arrestato il 5 gennaio 2014, per sei mesi era stato posto in una cella d'isolamento priva di doccia e servizi igienici. Nel corso del processo si era ripetutamente scusato spiegando che non era stata sua intenzione offendere il profeta Maometto (lui stesso è musulmano). Ora che è stato rimesso in libertà, Amnesty lancia un appello: «Va tutelato dalle minacce: folle di facinorosi erano scese in piazza chiedendo la sua testa e suo padre è stato costretto all'esilio».