Rubriche

Il sogno di Orazio, ecco una vera anima per l'Expo

Paolo Massobrio venerdì 31 ottobre 2014
Quella che vi sto per raccontare è la storia di un angelo matto. Di un sognatore, di uno che sa dove vuole andare, perché ha dentro "il sogno della giovinezza". Orazio Schelfi lo conosco da una ventina di anni. Da quando scendeva dalle malghe sul Monte Baldo per vendere il suo Primo Fiore, un formaggio straordinario, di cui è rimasto pressoché l'unico produttore. Ma come in tutte le cose italiane non ha sempre avuto vita facile per affermare il suo prodotto: la burocrazia complica la vita, anche se, colpo di fortuna, un bel dì, nella sua malga arriva nientemeno che il presidente della Repubblica Ciampi. E il suo Primo Fiore torna alla ribalta delle cronache. Ieri l'altro, dopo tanto tempo, sono tornato a trovarlo, in Trentino, sugli altipiani di Brentonico, località Festa, ed ho visto quello che san Benedetto avrebbe definito «l'eroico che diventa quotidiano». Orazio ha 48 anni, sette figli, un caseificio dove lavorano con determinazione, ma soprattutto un'azienda agrituristica, con sette camere, una sala da pranzo e una teoria di situazioni per l'accoglienza, costruite pezzo dopo pezzo, nei lunghi inverni di montagna, con i suoi figli. C'è una sala, che io battezzerei proprio del sogno della giovinezza, dove spunta un albero di ciliegio. Ed è il ciliegio dove lui giocava e sognava. Anche il figlio più piccolo un giorno gli ha detto: «Ma se scende tanta neve come facciamo a uscire di casa e andare dalle bastie?». E Orazio gli ha chiesto: «Tu cosa dici?». Detto fatto hanno costruito un tunnel bellissimo, di pietra, che diventerà presto un percorso, che collega l'azienda al caseificio, secondo le tecniche di scavo usate durante le due grandi guerre. Orazio si sveglia alle 4 del mattino per andare nei mercati a vendere il formaggio, mentre la moglie Miriam segue la famiglia, l'agriturismo e accudisce la suocera che ha 80 anni. La quale dice che è felice, solo felice nel vedere i frutti: ha 18 nipoti e un pronipote. Ma Orazio, che nel fisico e nella fierezza dello sguardo assomiglia a suo padre (il sogno della giovinezza) ritratto in Egitto su un cammello, ha voluto portare i suoi saperi a Lima, in Perù, dove ha insegnato a fare il formaggio e a gestire un caseificio, prendendosi del tempo, per quello che si può definire un personale impeto missionario. Perché racconto questa storia che mi ha letteralmente sbaccalito? Perché ho mangiato bene in quell'agriturismo, e poi ho dormito nel silenzio di un sabato d'autunno immerso nella natura e nei castagni? No, anche se tutto questo è accaduto. Parlo di Orazio, innanzitutto, perché in poco tempo mi ha fatto vedere la forza della famiglia italiana, che è memoria, solidarietà, ingegno, capacità di restituzione. Sogno. L'anima dell'Expo, cui tanto si parla, sta dentro a queste storie: il nostro essere, la nostra Italia, che è fatta per andar nel mondo. Che storia fantastica.