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Il ristorante esclude il contadino

Vittorio Spinelli sabato 6 giugno 2009
Nell'ultimo anno i consumi alimentari fuori casa sono timidamente cresciuti, mentre quelli domestici sono ulteriormente diminuiti. A conti fatti " secondo le indagini Nielsen rese note l'altro ieri a Parma " nonostante la crisi, l'acquisto e il consumo di alimenti fuori casa è cresciuto dello 0,2%, mentre all'interno delle mura domestiche si è assistito ad un tracollo del 2,4%. Si tratta di dati, diffusi nel corso di un incontro preparatorio di Cibus 2010, che vanno analizzati e capiti a fondo, che ovviamente hanno fatto applaudire una parte della filiera agroalimentare nostrana, ma che in ogni caso devono far pensare ai cambiamenti forti che il comparto sta attraversando.
Secondo la Nielsen, dunque, oltre il 70% degli italiani con più di 14 anni frequenta abitualmente la ristorazione fuori casa: la pizzeria rimane il locale preferito (54%), seguito dai ristoranti tradizionali (33%), pub/birrerie (19%), trattorie (17%), fast food (17%) ed altri. E cresce anche il numero dei luoghi di ristorazione. Certo, uno 0,2% di crescita equivale più che altro ad una "tenuta" del mercato, ma in tempi difficili come quelli che l'economia sta vivendo, gli operatori sono costretti a fare i conti ed effettuare le loro previsioni anche con i decimi di punto.
È proprio sulla base di queste statistiche che a Parma si è parlato della necessità di partnership strategiche più forti tra l'industria alimentare e la ristorazione, soprattutto quella cosiddetta "organizzata" che va di pari passo con la grande distribuzione. Strategie che, di fatto, tendono ad eliminare, o in ogni caso a contenere, i canali più tradizionali del commercio alimentare e agroalimentare. È, cioè, una strada che sembra andare nella direzione opposta dei punti di vendita tradizionali, dei mercatini degli agricoltori, degli acquisti effettuati direttamente dal produttore, della valorizzazione dei prodotti Dop e IGP che un'altra parte del comparto, invece, ha preso come riferimenti di sviluppo e valorizzazione della propria attività.
Il problema, tuttavia, è che gli uni e gli altri attori della filiera alimentare si rivolgono agli stessi interlocutori: i consumatori alle prese con bilanci familiari ristretti. Una situazione pressoché identica quindi, può condurre a conclusioni quasi opposte. L'aver a che fare con bilanci risicati e prezzi comunque elevati, per alcuni dovrebbe spingere alla "spesa in campagna" alla ricerca di cose genuine e sane, per altri ad una "razionalizzazione dei consumi" e alla maggiore frequentazione dei supermercati e dei discount alla ricerca dei primi prezzi e degli sconti. Come al solito, la realtà sta nel mezzo di queste due interpretazioni. Ma l'accentuarsi della divaricazione delle strategie di approccio al mercato alimentare, può portare a conseguenze rischiose come l'emarginazione dei produttori agricoli, la crescita della concorrenza basata più sul prezzo che sulla qualità e sulla sicurezza, l'esasperazione dei concetti di "tipico" e Made in Italy, la compressione dei margini per tutti.