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IL PESCATORE E IL CACCIATORE

Gianfranco Ravasi sabato 5 novembre 2005
Come il pescatore, quando ha gettato la rete, fa rumore nell'acqua per convogliare il maggior numero di pesci nel suo cammino, come il cacciatore circonda con la schiera dei battitori il terreno e snida la selvaggina spingendola dove potrà meglio colpirla, così anche Dio che vuol essere amato discende con l'inquietudine a caccia dell'uomo. Così scriveva nel suo Diario il filosofo danese ottocentesco Soeren Kierkegaard. Non deve scandalizzare l'immagine del pescatore o del cacciatore attribuita a Dio perché essa si ritrova anche nella Bibbia. Ad esempio, il profeta Abacuc si rivolge a Dio così: «Tu tratti gli uomini come pesci del mare: li prendi tutti all'amo e li tiri su raccogliendoli nella rete e contento ne godi» (1, 14-15). Sappiamo che tra le tecniche della caccia c'è quella dei battitori che agitano i cespugli per snidare le prede. Ebbene, da questa scena di movimento frenetico il filosofo trae una lezione spirituale di alto profilo. Il Signore scende tra gli uomini non per cullarli in dolci illusioni ma facendoli fremere, inquietandoli, persino provandoli. È famosa la dichiarazione di Cristo: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace; ma una spada» (Matteo 10, 34). La fede può, certo, essere fonte di consolazione, ma essa è raggiunta attraverso la scalata del monte Moria, come fece Abramo, nostro padre nella fede, che vi era salito nel silenzio di un Dio che l'aveva prima tormentato col suo ordine inesorabile (Genesi 22). Dio viene «a caccia dell'uomo» con la vera inquietudine che è vita dell'anima, ansia di ricerca, ardore d'amore. Diceva lo scrittore francese Julien Green: «Finché si è inquieti, si può stare tranquilli».