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Il miracolo di Roma, dove il tempo ha lasciato solo bellezza

Maria Romana De Gasperi sabato 21 maggio 2016
Roma questa mattina si fa guardare tagliata da raggi di luce e fasce d'ombra dipinte da nuvole grigie che si abbassano quasi a toccare i monumenti più alti ed i campanili delle chiese. Ho un'amica che vorrebbe vedere la città in pochi giorni e lascia a me la ricerca dei luoghi e delle cose. Il primo problema è scegliere tra gli autobus e la macchina, il secondo è come salvarsi in mezzo ad una viabilità che non dà respiro. Non sai come salvarti dalla quantità degli enormi autobus che trasportano turisti e contendono la strade strette del centro ai tavoli dei ristoranti che, in una cascata di fantasia, usano piante e fiori portando via lo spazio a chi va a piedi. Piazza del popolo, completamente occupata da mille bandiere di chi manifestava per i diritti dei lavoratori in pensione, la si poteva attraversare con prudenza e la chiesa di Santa Maria del popolo aveva gli scalini completamente occupati. Non importa dicevo io, ti farò vedere altre cose. Con un po' di fortuna abbiamo preso un mezzo e siamo arrivati al Pantheon. Sulla piazza c'era appena posto per camminare con attenzione fino alle grandiose colonne dove le guardie cercavano di dare un po' d'ordine agli studenti che tutti assieme volevano entrare. La grandiosità dell'interno ci fece per qualche momento dimenticare il rumore e il disordine, mentre io ricordavo le visite alle antiche opere dell'impero romano fatte nella mia giovinezza accanto a nostro padre quando attorno a noi regnava il silenzio. Camminiamo per i vicoli stretti dove ancora sopravvivono artigiani perché amano il proprio mestiere dato che l'impegno e l'amore per ogni loro tipo di impresa oggi supera certamente il guadagno. E così dimenticandoci tra gli antichi palazzi della Roma papale, le chiese barocche e le piazzette occupate dai rivenditori di vecchi abiti offerti per nuovi, si apre in uno scoppio di luce piazza Venezia con il suo monumento di pietra bianca che sembra fermare, dietro di sé, le rovine di una civiltà che aveva conquistato il mondo. Il miracolo di questa città è la sua capacità di offrire assieme in un solo concerto, vecchio, antico e nuovo senza che uno prevalga sull'altro offrendo, di ogni epoca, il meglio di sé. Anche il suo disordine passa per fantasia, la sua imprecisione per fatalità, in modo che ognuno trovi il suo spazio e sappia riconoscere la musica del tempo che qui è passato lasciando amore alla bellezza, certezza d'infinito e capacità, rileggendo la propria storia, di credere di nuovo in un futuro positivo.