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Il gioco d'azzardo non è una "livella"

Francesco Delzio sabato 23 novembre 2019
Sono impressionanti gli ultimi dati dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: nel 2018 in Italia si sono giocati ben 106,7 miliardi di euro, contro i circa 10 miliardi di euro d'inizio secolo. È una crescita che ha pochi eguali nel mondo e in altri ambiti economici, e che paradossalmente avvicina molto il fatturato del business dell'azzardo (nella sua parte legale) al valore di quel Fondo Sanitario Nazionale – pari nel 2018 a circa 113 miliardi di euro – che dedica parte delle sue risorse proprio alla lotta alla ludopatia, anzi – con il termine lanciato da "Avvenire" e nel 2018 accolto dalla Treccani – all'azzardopatia.
Come torna a segnalare un'interessante analisi pubblicata da "lavoce.info", questo boom è stato accompagnato e favorito da una serie di riforme che a partire dal 2002 hanno liberalizzato il mercato dell'azzardo, moltiplicando sia l'offerta di prodotti che i luoghi e gli strumenti mediante i quali è possibile accedere ai giochi d'azzardo. Ma la loro proliferazione ha fatto aumentare anche il numero di giocatori problematici: erano lo 0,33% della popolazione italiana nel 2007, sono diventati l'1,04% nel 2017.
Tutto ciò ha spinto il Governo italiano ad includere la cura e la riabilitazione dei soggetti affetti da azzardopatia nei livelli essenziali di assistenza erogati dal Servizio sanitario nazionale.
Un altro dato deve far molto riflettere: l'aumento della raccolta dell'azzardo degli ultimi anni deriva non dai mezzi tradizionali come il Lotto, il Bingo e le lotterie, ma dalle scommesse virtuali e dal gambling di nuova generazione. In questa differenza si annida un dettaglio importante. Perché mentre i giochi d'azzardo tradizionali sono praticati soprattutto da persone a reddito più alto, al contrario scommesse sportive e nuovo azzardo sono più diffusi tra quelle a reddito più basso e – al tempo stesso – sono più fortemente associati a comportamenti compulsivi.
La conclusione – ben nota ai lettori di questo giornale – è inquietante e pericolosa: il boom dell'azzardo in Italia è "pagato" dai soggetti più vulnerabili, ovvero dai cittadini più poveri, più deboli e meno istruiti.
L'azzardo, dunque, non è una "livella". Questa amara considerazione dovrebbe spingere la politica ad azioni molto più convinte e concrete per disincentivare il gioco d'azzardo, oltre che a investimenti in programmi di prevenzione per limitare la diffusione della dipendenza da gioco e alla rimodulazione del payout (la percentuale dell'incasso che ritorna al giocatore sotto forma di vincita), con l'obiettivo di aumentare il carico fiscale sul gambling più pericoloso come è stato già fatto con discreti risultati nella lotta al tabagismo e all'alcolismo. Tutelare i più deboli dall'azzardopatia, lungi dall'esser solo una strategia etica, è oggi una necessità economica e sociale.
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@FFDelzio