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Il conto dei giorni

Giovanni Lindo Ferretti venerdì 2 gennaio 2015
Salendo verso la Chiesa la strada lastricata del borgo, superata l'aia che qui chiamiamo “piazza”, c'è la porta di una stalla sovrastata da una stella. È una stella cometa, viene dall'Oriente: è made in China, di plastica, di poco conto. Sulla via dei presepi attraverso l'Appennino che fu il regno di Matilde di Canossa questo è il presepe più povero, manca di tutto ma non di grazia. È il presepe dei pastori così come è stato loro annunciato nel vangelo di Luca: — troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia — il mistero del Santo Natale ridotto ad essenza. Poche mani devozionali hanno aggiunto una icona mariana, una lampada a petrolio, due teli riciclati che sembrano sbucare dalla Giudea di duemila anni fa. Un povero presepe a rispecchiare la realtà dei borghi di montagna abbandonati per scendere al piano, in città, in cerca di nuove opportunità; gli animali domestici non più allevati sono scomparsi, i campi lasciati all'incuria fioriscono di rovi e i boschi tornano selve. Eppure non tutto è perduto, non la consapevolezza che a ogni uomo sono concessi i propri giorni e di questi dovrà rendere conto. Anche nel tempo dell'abbandono, quando bastano gli occhi di un bimbo a accendere una speranza rinnovata e basta un presepe per custodirla.