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Il cibo divorato dalla fame dell'oro

Fabrice Hadjadj domenica 12 giugno 2016
Nella scena finale de Gli intoccabili compare in primo piano il primo edificio di Chicago ad aver superato i 600 piedi. Finito nel 1930 nel più puro stile Art Déco, è sovrastato dalla statua di una dea antica: Cerere, figlia di Saturno, sorella di Giove e suocera del dio degli inferi, colei che insegnò agli uomini a coltivare la terra e a fare il pane. Ma che ci fa dunque lassù, a grattare il cielo? Nessun aratro in basso, nessun forcone, nessun contadino, solo la metropolitana sopraelevata, il traffico, uomini in giacca e cravatta, smartphone e ventiquattrore. Siamo in pieno quartiere finanziario, sviluppatosi proprio intorno a questa torre e dunque, stranamente, intorno alla dea dell'agricoltura… Lo scultore John Storrs le ha tuttavia conferito un aspetto industriale che modera di molto il contrasto. Cerere è di metallo, profilata come un pezzo di artiglieria pesante. La sua testa è senza volto. E il piccolo sacco di grano che tiene nella sua destra è talmente stilizzato da sembrare una borsa piena. L'edificio sottostante alberga il Chicago Board of Trade, tempio planetario dove si tratta il corso dei cereali e di altre materie prime. Sì, è il mercato dei prodotti agricoli ad avere edificato questo immensa costruzione di cemento. Ed è qui, nel film di Brian di Palma, che si conclude la caccia ad Al Capone, come se la grande criminalità dovesse riciclarsi nell'alta finanza. La fondazione del Cbot nel 1848 coincide con l'invenzione della mietitrebbiatrice da parte Cyrus McCormick, un presbiteriano devoto che si sente investito della missione di nutrire gli affamati. Comincia la “rivoluzione agricola americana”: il numero di staia di grano per abitante triplica in trent'anni. Oltre a questa produttività meccanica c'è una ragione strutturale per la creazione di un grande mercato delle derrate alimentari: l'aleatorietà dei raccolti. Difficile fare un business plan in agricoltura, perché si è sottomessi alla meteorologia, minacciati dalla ruggine, la grandine, le cavallette… La religione pagana è segnata profondamente da questo fenomeno, davanti al quale non resta che supplicare Cerere. Senofonte lo nota nel suo Economico: «Quando si intraprendono lavori agricoli, è necessario conciliarsi gli dei». Ma qui, nel mercato degli alimenti, il dramma non è il fatto che l'offerta sia fluttuante, ma che la domanda non lo è. È “anelastica”, dicono gli economisti. Se si producono meno telefoni è probabile che non si stia così male, e i prezzi non possono infiammarsi troppo. Se c'è meno da mangiare, al contrario, i prezzi volano e alcune persone muoiono di fame (legge di King). Ed è così che il Cbot si è sostituito poco a poco a Cerere, i future alla preghiera, il contratto a termine alla mitologia (coi pesticidi e gli Ogm che ci evitano di ricorrere al culto pagano). Lo scopo iniziale di questo Board of Trade era quello di smerciare al meglio la produzione e porre un limite alla volatilità dei prezzi troppo alta, fissando in anticipo e per una data precisa i termini della transazione proteggendo così sia l'acquirente che il produttore. E questo va più o meno bene (si dice) finché gli speculatori non si immischiano troppo nel gioco. Dopo la Grande Depressione negli Stati Uniti questa intromissione era stata limitata dalla legge. Ma nel 1991, a causa della saturazione dei mercati borsistici classici, ecco che «gli analisti di Goldman Sachs selezionano diciotto ingredienti e impasticciano un elisir finanziario che comprende bestiame, caffè, cacao, mais e due o tre varietà di grano. Essi soppesano il valore di ogni elemento in termini di investimento, combinano e codificano le parti, riducono ciò che era prima una somma di cose reali a una formula matematica che può essere espressa con una sola cifra: il Goldman Sachs Commodity Index. Dopodiché mettono in vendita delle azioni» (Frederick Kaufman, The Food Bubble) – azioni che hanno il vantaggio di appoggiarsi su una domanda reale che non è sottoposta alla moda. La deregulation fa la sua parte, i prezzi schizzano in alto e gli azionisti si riempiono le tasche mentre altri, lontano da qualche parte, sentono scavarsi il buco nello stomaco. Sono le “sommosse della fame” del 2008. Nel 2009 Goldman Sachs ha guadagnato 5 miliardi di dollari solo con operazioni sui derivati agricoli, seguita dalla JP Morgan con 1,2 miliardi. Nel 2013 gli speculatori finanziari hanno occupato il 65% del mercato contro il 12% del 1996. Meno del 3% dei contratti si è concluso con la consegna effettiva della merce, il restante 97% è stato rivenduto prima della scadenza. La mamma tuttavia ci aveva insegnato, a tavola, un principio di decenza comune: “Non si gioca con il cibo”. Ma il denaro parla un altro linguaggio. E poi certi rapporti ci spiegheranno che la carestia e la malnutrizione nel mondo non è causata dalla finanziarizzazione ma da altri fattori come lo sviluppo dei biocarburanti o la crescita delle classi medie che richiedono maggiori quantità di carne, mentre il Cbot opera piuttosto per l'abbassamento dei prezzi. Sta veramente qui la questione? Si può trattare il cibo come una semplice merce? Il pane quotidiano deve essere monetizzato come il petrolio o l'iPad? E poi un tizio che acquista tonnellate di soia, senza mangiarne per niente, senza averle mai viste, senza farsele consegnare né istradarle verso quelli che hanno fame, per rivenderle facendo un grosso guadagno, costui nel suo rapporto con la realtà, non è forse già morto? Ed è così che, dall'alto del suo edificio di Chicago, Cerere, non avendo più nulla di una madre, ha perso il suo volto.