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Il barbone

Guido Oldani giovedì 9 gennaio 2014
Il barbone, così lo chiamavano tutti, era arrivato chissà da dove e rimase alcune ore prima di ripartire, dopo aver dormito proprio nel mezzo del cortile, così che la gente doveva girargli intorno per evitare di scavalcarlo. Alcuni ragazzi lo saltavano, prendendo la rincorsa mentre lui, imperterrito, russava come un vecchio motore sottotono. Aveva solo una bisaccia semivuota e un cappellaccio che gli faceva da grondaia in caso di pioggia. Rammentava i personaggi dei «Racconti di un pellegrino russo», di anonimo: uomini che viaggiavano portando con loro un po' di pane secco ed una Bibbia e null'altro. Ero bambino e ad un certo punto, l'uomo mi fece cenno di avvicinarmi, mi consegnò una ciotola di legno scuro e alcune monete perché gli comprassi del vino. Ora ero in una scena di Leon Bloy; l'oste, sentito a chi era destinata la bevanda, si affrettò ad aggiungervi dell'acqua. È facile derubare i poveri, però immaginai che, prodigiosamente, si ripetesse lì il miracolo di Cana, come risarcimento del viandante spoglio, ora ulteriormente defraudato. Riportai la ciotola all'uomo, che nel frattempo si era messo a sedere. Alzò la tazza al cielo come se stesse celebrando una umilissima messa, poi bevve tutto di un fiato, forbendosi la bocca al dorso della mano,priva di candore. Fu allora che le campane della chiesa vicina suonarono, forse in onore della sua povera santità.