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I veri perditempo? Sono gli uomini più indaffarati

Cesare Cavalleri mercoledì 14 settembre 2016
Il De brevitate vitae di Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C) è, come scrive Stefano Costa, curatore di una nuova traduzione del celebre dialogo, «una lunga rappresentazione di coloro che il tempo lo usano male e l'obiettivo dell'autore consiste più nel denunciare tutti i modi in cui la vita può essere sciupata che nel soffermarsi sull'unico modo per metterla a frutto» (La brevità della vita, La vita felice, pp. 104, euro 7,5). «Non abbiamo poco tempo», scrive Seneca, «ma ne sprechiamo molto». Esperti nello sprecare il tempo sono gli “affaccendati”, cioè coloro che non hanno un minuto libero perché inzeppano di cose futili le ore della loro giornata. In primo luogo, Seneca annovera quelli «che non si occupano di nessuna cosa se non del vino e del piacere: nessuno è più turpemente indaffarato». E i capelli bianchi e le rughe non indicano che si è vissuto a lungo: dimostrano soltanto di essere esistiti a lungo. Di un navigante che «dopo essere uscito dal porto, una crudele tempesta ha portato qua e là e ha condotto in circolo per le vicende alterne dei venti che infuriano in direzioni diverse», non si dirà che ha navigato molto: semplicemente, che «molto è stato sballottato».La vita si divide in tre tempi: «Ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà». Di questi, ammonisce il filosofo, «ciò che viviamo è breve, ciò che vivremo dubbio, ciò che abbiamo vissuto certo». Agli affaccendati «concerne soltanto il tempo presente, che è tanto breve da non poter essere catturato, e questo stesso è sottratto a quelli distratti in molte occupazioni». Invece una mente sicura e tranquilla ripercorre con agio tutta la propria vita, perché la sapienza stoica di Seneca insegna che «il vivere bisogna impararlo tutta la vita, e per tutta la vita bisogna imparare a morire».Non sono risparmiati neppure gli eruditi. Seneca stigmatizza polemiche che sono ancora di oggi: «Se sia stata scritta prima l'Iliade o l'Odissea, se inoltre siano del medesimo autore, e altre cose di questa sorta, che se le tieni per te non portano alcun bene alla tua coscienza che rimane in silenzio, se le esponi non sembreresti più dotto, ma più noioso».Sono veramente liberi coloro che hanno tempo per la filosofia, «essi solo vivono»: aggiungono ai propri anni quelli dei grandi del passato, e possono dialogare con Zenone, Pitagora, Democrito, Aristotele e Teofrasto. «È molto breve e travagliata la vita di quelli che dimenticano il passato, trascurano il presente, temono il futuro: quando sono arrivati al capolinea, capiscono tardi, disgraziati, che sono stati indaffarati tanto a lungo mentre non facevano nulla». Seneca, com'è noto, fu precettore di Nerone, ma dopo pochi anni l'imperatore prese a odiarlo, accusandolo di aver partecipato a una congiura contro di lui, e gli propose il suicidio come unica via d'uscita. Il filosofo, dunque, circondato dai discepoli e dagli amici, si fece tagliare le vene dei polsi, ma il sangue defluiva lentamente, per cui si fece tagliare anche le vene delle gambe. Non bastando ancora, si fece condurre in un bagno talmente caldo che forse morì soffocato dai vapori. Lo racconta Tacito, forse adattando a Seneca il racconto platonico della morte austera di Socrate, come fece per la morte di altri illustri suicidi, come Trasea Peto, Catone Uticense e il poeta Lucano, nipote di Seneca. Dello stoicismo di Seneca rimane l'alto monito sul buon uso del tempo che ci è dato di vivere. Per dirla con san Paolo, si tratta di «redimere il tempo, perché i giorni sono cattivi» (cfr Ef 5,16).Per una conclusione soft, affidiamoci a uno dei 511 consigli di H. Jackson Brown jr per essere felici: «Non dire che non hai abbastanza tempo. Hai esattamente lo stesso numero di ore al giorno che sono state date a Pasteur, Michelangelo, Madre Teresa, Leonardo da Vinci, Thomas Jefferson e Albert Einstein».