Rubriche

i teologi di alessandria

Gianfranco Ravasi venerdì 30 maggio 2003
Abbà Sisoes a proposito dei teologi di Alessandria diceva: «Se Dio avesse incaricato i teologi di scrivere i dieci comandamenti, invece di dieci ne avremmo mille». Ogni tanto attingiamo allo scrigno dei detti e apologhi dei Padri del deserto egiziano, una sorta di vaso da cui esalano profumi dolci e aspri, mai però odori mefitici come dalla mitica anfora di Pandora. Divertente è questo aforisma di un "abbà", cioè "padre", maestro spirituale, che ironizza sull'accademia teologica di Alessandria, i cui membri si abbandonavano a elucubrazioni sempre più sofisticate, annebbiando la verità che volevano illustrare. Ma io vorrei mettere l'accento proprio sull'oggetto specifico di questo motto d'arguzia. La moltiplicazione dei precetti, anziché favorire il comportamento morale, lo deprime. È quello che accade, soprattutto in Italia, con le leggi: Corruptissima republica plurimae leges, scriveva Tacito nei suoi Annali (III, 27), ossia, quanto più si moltiplicano le leggi, tanto più procede la corruzione. Il nitore lapidario dei 10 comandamenti era stato attualizzato ma anche stinto nei 613 precetti estratti dalla Legge ad opera dei maestri giudaici. Illuminante è, allora, il comportamento antitetico di Gesù che riassume "tutta la Legge e i Profeti" in due precetti che poi sono uno solo: «Amerai il Signore" Amerai il tuo prossimo». Bisogna ritrovare le radici ultime e fondanti della morale e tenerle fisse davanti a sé come una stella polare nel cammino della vita. Poi potranno essere accolte anche le altre norme, ma solo come guida secondaria e pratica. Se prevalgono quest'ultime, allora può essere sempre in agguato il legalismo o il moralismo.