Rubriche

I «puri» che dividono e l'umiltà di chi annuncia

Salvatore Mazza sabato 3 luglio 2021
Nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso fece abbastanza scalpore la censura subita da due canzoni, bandite da tutte le trasmissioni della Rai perché ritenute blasfeme o, comunque, contrarie alla morale cristiana. Le canzoni in questione erano Dio è morto, di Francesco Guccini, del 1965, e due anni più tardi Preghiera in gennaio, di Fabrizio De André, dedicata a Luigi Tenco, cantautore morto suicida nel gennaio del 1967 al Festival di Sanremo. L'occhiuto censore dell'emittente di Stato o non aveva capito bene i testi dei due brani, o non sapeva niente del Concilio Vaticano II. Una censura che fece scalpore, come detto, anche perché le stesse due canzoni, negli stessi anni, venivano regolarmente trasmesse dalla Radio Vaticana.
Cose che succedono e sono sempre successe, perché c'è sempre qualcuno che si erge a "vero maestro", pronto a giudicare, insegnare, bacchettare. E cose che purtroppo continuano a ripetersi anche oggi (arrivando perfino a "correggere" il Papa), come vediamo e leggiamo dai piccoli, strepitanti gruppuscoli di cristiani che, come ha detto Francesco il 23 giugno durante l'udienza generale, «si presentano non anzitutto per annunciare il Vangelo di Dio che ama l'uomo in Gesù Crocifisso e Risorto, ma per ribadire con insistenza, da veri e propri "custodi della verità" – così si chiamano loro –, quale sia il modo migliore per essere cristiani». Soggetti che antepongono la dottrina all'amore, e che «con forza affermano che il cristianesimo vero è quello a cui sono legati loro, spesso identificato con certe forme del passato, e che la soluzione alle crisi odierne è ritornare indietro per non perdere la genuinità della fede».
Bergoglio ha preso spunto dalla Lettera di San Paolo ai Galati, ricordando come nelle piccole comunità fondate da Paolo «si erano infiltrati alcuni cristiani venuti dal giudaismo, i quali con astuzia cominciarono a seminare teorie contrarie all'insegnamento dell'Apostolo, giungendo perfino a denigrare la sua persona. Incominciano con la dottrina "questa no, questa sì", e poi denigrano l'Apostolo. È la strada di sempre: togliere l'autorità all'Apostolo». E, ha aggiunto, «come si vede, è una pratica antica, questa, di presentarsi in alcune occasioni come gli unici possessori della verità – i puri – e puntare a sminuire anche con la calunnia il lavoro svolto dagli altri... tante volte noi vediamo questo. Pensiamo in qualche comunità cristiana o in qualche diocesi: si incominciano le storie e poi finiscono per screditare il parroco, il vescovo. È proprio la strada del maligno, di questa gente che divide, che non sa costruire».
Questa condizione, ha ribadito Francesco, «non è lontana dall'esperienza che diversi cristiani vivono ai nostri giorni. Non mancano nemmeno oggi, infatti, predicatori che, soprattutto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, possono turbare le comunità... si deve far questo, si deve fare quell'altro... La rigidità è proprio di questa gente». L'antidoto a questo vero e proprio veleno sta nel seguire «l'insegnamento dell'Apostolo Paolo nella Lettera ai Galati, che ci farà bene per comprendere quale strada seguire. Quella indicata dall'Apostolo è la via liberante e sempre nuova di Gesù Crocifisso e Risorto; è la via dell'annuncio, che si realizza attraverso l'umiltà e la fraternità; i nuovi predicatori non conoscono cosa sia umiltà, cosa sia fraternità».