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I luoghi della nostra educazione, quando ancora si costruiva comunità

Paolo Massobrio mercoledì 1 febbraio 2017
Lunedì un asteroide ha sfiorato la Terra: 70mila chilometri di distanza. Ma la cosa non ha fatto notizia. Figuriamoci, allora, se la fa l'oratorio, che ieri è stato celebrato nel nome di san Giovanni Bosco. Ma nemmeno si parla del cambio di passo nella Protezione Civile, evocato su La7 da Giovanni Minoli, che ha intervistato Guido Bertolaso. Oratori, volontariato, fattori di comunità che attivano un'assunzione di responsabilità non se li fila nessuno, mentre lo sfascio delle aggregazioni politiche è in prima pagina tutti i giorni, aumentando un senso di cinismo. Anche questo è un appello di gusto, perché va alla radice di ciò che vorremmo come società. Ovvero: siamo per una società con un uomo solo al comando che mette più o meno a posto le cose, oppure siamo per ricostruire dal basso una partecipazione? Delle due l'una e una scelta rischia di modificare un pensiero, di incidere sull'educazione.
Personalmente riconosco all'oratorio un ruolo fondamentale nella mia educazione, che c'entra col mestiere che svolgo. Cos'era la festa di un oratorio? Erano mesi di preparativi, di discussioni, di immagini verso le persone che sarebbero arrivate. Come le avremmo accolte? Ricordo una riunione lunghissima sul concetto di aperitivo. E sembra una banalità, ma che un gruppo di ragazzi si chiedesse cosa servisse l'aperitivo nel concerto di una festa era un esercizio di accoglienza. L'oratorio era quel luogo che assecondava gli interessi di ognuno. E quello che interessava uno diventava per tutti: la musica, la cucina, la poesia. Oggi ci si specializza su tutto e si cercano comunità virtuali su social affini ai propri interessi, senza pensare che una cosa sola interessa, ed è la realizzazione della propria umanità. Che non può essere incasellata, neanche in un catechismo, che semmai è la verifica di un percorso. Quanta gente è passata dall'oratorio... L'altro giorno un amico di quelli che avevo conosciuto allora mi ha detto: «Quest'anno vado in vacanza in Centro Italia». Ecco, se me lo avesse detto un anno fa gli avrei elencato i ciauscoli migliori, mentre oggi mi fermo a pensare, commosso, che l'amico fa una scelta frutto di un'educazione, mentre tanti stanno programmando la vacanza nel posto "tranquillo" (anche dagli asteroidi?). Si insegue il sentito dire, che è diverso dall'educazione levigata all'interno di una comunità. Anche la Protezione civile è diventata qualcosa di capillare, salita agli onori del mondo. Ma quali mortificazioni ha subìto, per una logica che ancora non riusciamo a capire? Ciò che si distrugge – per negligenza, interesse, calcolo – non è scontato che si ricostruisca. E si rimane tutti più soli, senza un gusto. Si potrà riallacciare il mondo di costruttori con quello di una politica fin troppo distratta?