Rubriche

I «like» di Facebook e la «sindrome della vetrina»

Francesco Delzio sabato 11 novembre 2017
Dissociarsi nettamente da ciò che si è creato è assai raro, e diventa ancor più sorprendente se la "creatura" in questione è una delle invenzioni più rilevanti degli ultimi decenni: Facebook. Eppure è successo: qualche giorno fa Sean Parker – primo presidente del social network e tra i primi finanziatori della geniale idea di Mark Zuckerberg ed Eduardo Saverin – ha pronunciato un durissimo j'accuse nei confronti del "suo" Facebook, nel corso di una conferenza a Philadelphia. Usando argomentazioni che devono farci riflettere attentamente e che dovrebbero dare il via a indagini medico-scientifiche più approfondite di quelle condotte sul tema finora, a livello internazionale.
Ma quali sarebbero i capi d'imputazione? Secondo Parker, giovane prodigio che prima di investire in Facebook aveva fondato un social (musicale) di successo come Napster, il meccanismo del social network fondato sui "Like", sulle condivisioni e sui commenti sarebbe in realtà «un loop di validazione sociale» basato sullo «sfruttamento delle vulnerabilità psicologiche umane», in grado di «cambiare letteralmente la relazione di un individuo con la società e con gli altri». Tutto questo avrebbe conseguenze particolarmente pericolose sui bambini. «Solo Dio sa cosa sta succedendo al cervello dei nostri piccoli», ha affermato Parker.
In realtà, l'oggetto del contendere è troppo recente per poter avere a disposizione una letteratura scientifica che confermi conclusioni così negative. Anche se il più recente studio in materia, condotto da ricercatori di Yale e dell'Università della California che hanno misurato quotidianamente il comportamento di oltre 5mila web-utenti statunitensi, dimostra che dopo aver usato la piattaforma di Zuckerberg il benessere mentale di una persona mediamente scende. La causa fondamentale è un fenomeno che potremmo definire "sindrome della vetrina": chiunque tende a mostrare su Facebook solo gli aspetti più scintillanti della propria vita, omettendo accuratamente quelli più noiosi o tristi. Così, chi si trova a scorrere Facebook in un normalissimo momento della propria giornata è portato a fare un paragone tra ciò che sta facendo lui e ciò che gli amici hanno postato, trovandosi a constatare inevitabilmente quanto sia insoddisfacente la propria vita rispetto a quella degli amici.
In attesa di ulteriori conferme scientifiche, basterebbe forse tornare a considerare Facebook (e tutti gli altri social network) solo come uno strumento, e non più un fine, della propria vita quotidiana. Pensando che un'esperienza va vissuta molto più per la bellezza di quel momento di vita, che per il suo racconto "virtuale" sul social network.
www.francescodelzio.it