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I due volti dell'America dell'Ottocento nelle poesie di Withman e Dickinson

Alfonso Berardinelli sabato 2 luglio 2011
Nella poesia americana dell'Ottocento, i due maggiori classici si fronteggiano da universi inconciliabili. Che cosa hanno in comune Whitman, il cantore della democrazia, il populista vagabondo amico della vita collettiva, e Emily Dickinson, reclusa nel suo microcosmo, Amherst nel Massachusetts: nella sua stanza, in comunicazione segreta con l'essenziale e l'imponderabile. Versi lunghissimi in Whitman. Una scansione perfetta e concentrata, poche brevi linee spezzate in Dickinson: una concisione che lascia senza fiato. Ogni poesia suona come una clausola, un epitaffio. L'interpretazione dei suoi testi non sempre è agevole. Eppure, non si sa come, si ha l'impressione di capire anche quando non si capisce. Sembra non esserci mai un aldilà velato e sottinteso, tanta e così sorprendente l'energia, l'ironia, l'arguzia, la drammaticità di quello che viene detto.
Silvia Bre ha ora pubblicato la sua traduzione di un centinaio di questi testi (Centoquattro poesie, Einaudi), traduzione che a una prima lettura mi sembra il risultato di un esercizio ascetico dell'attenzione. Quando si traduce, dice la Bre, si dimenticano subito le tante teorie sulla traduzione, «l'atto pratico del tradurre le annulla in blocco, mostrando tutto il suo carattere di nudo artigianato». La prima cosa, forse l'unica che si può fare traducendo, in particolare la Dickinson, è preoccuparsi «di non togliere e, soprattutto, di non aggiungere nulla». L'estetica di queste poesie è infatti nella loro bruciante economia. Poesia d'amore? Poesia metafisica? La cosa più misteriosa è il tono: perché per dire quello che dice, la Dickinson deve inventare anzitutto il tono in cui va detto. Citare è difficile. Apro il libro e non trovo una poesia che mi sembri trascurabile, secondaria. Scelgo a caso una strofa e non aggiungo altro: «Dopo un grande dolore, viene un sentimento compassato – / i nervi stanno in posa cerimoniale, come tombe – / il cuore indurito si domanda se fu lui, a patire,/ e fu ieri, o secoli indietro?».