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I classici e i cristiani

Gianfranco Ravasi mercoledì 7 dicembre 2011
Un grande classico è uno scrittore che si può lodare senza averlo letto.
Un classico è qualcosa che tutti vorrebbero aver letto e nessun vuol leggere.
Due lingue mordaci, la prima del cattolico inglese Chesterton, l'altra dell'americano protestante Mark Twain, s'incrociano nell'ironizzare sul grande rispetto di cui godono i classici, rispetto che molti testimoniano standone il più lontano possibile. La stessa affermazione potrebbe essere ripetuta pari pari anche per la Bibbia e, a maggior ragione, per quei classici cristiani che sono i Padri della Chiesa. Oggi ne celebriamo uno di prima grandezza, sant'Ambrogio di Milano, le cui pagine sono spesso raccomandate, ma altrettanto ignorate dagli stessi devoti e protetti della sua metropoli lombarda. Di lui vorrei solo ricordare un dato che, per altro, ricalca un atteggiamento costante in molti Padri della Chiesa: il dialogo fecondo - anche se non privo di punte polemiche - con la cultura classica pagana. Anzi, egli scriverà un De officiis, modellandolo sull'omonimo saggio di Cicerone, dedicato ai compiti morali della persona e, nel caso di Ambrogio, del fedele.
È, questo, un esempio illuminante di un dialogo capace di varcare i recinti, di un confronto che conosce incontri, ma anche scontri, nella certezza però che i «semi del Verbo» divino, come dicevano i Padri, sono diffusi anche in terreni lontani. Nel II secolo, Giustino, che pure stava componendo un'Apologia del cristianesimo, non esitava a inserirvi queste righe: «Cristo è il Verbo di cui fu partecipe tutto il genere umano; e coloro che vissero secondo il Verbo sono cristiani, anche se furono giudicati atei come, fra i Greci, Socrate ed Eraclito ed altri come loro». Una lezione anche per i nostri giorni: un ascolto reciproco, serio e ben fondato, può essere benefico per credenti e non, tutti in ricerca umile e appassionata della verità.