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I campi temono l'effetto import

Andrea Zaghi sabato 9 febbraio 2013
La produzione agricola nazionale è in grado di garantire quest'anno attorno al 75% del fabbisogno alimentare degli italiani. Si tratta di un dato non bello, che deve far pensare. Aldilà delle battaglie sulla qualità dei prodotti e sulla difesa del Made in Italy agroalimentare, il fatto che i nostri campi e le nostre stalle riescano appena ad assicurare i tre quarti del fabbisogno indica una difficoltà sostanziale del settore, ipoteca le possibilità di crescita, getta un'ombra sulle esportazioni e indica chiaramente quanto ancora l'agricoltura sia influenzata dal clima e quanto lavoro vi sia da fare.A stabilire la soglia di autoapprovvigionamento alimentare è stata la Coldiretti, che ha effettuato le stime in base al crollo delle produzioni registrato nel 2012. Il tracollo dei raccolti è esemplificato dal minimo storico di 40 milioni di ettolitri per il vino, dal calo del 12% per dell'olio di oliva, dal -15% del raccolto di mele, dal -12% della produzione di pomodoro da conserva. Ma anche dal generale calo dell'1,3% della produzione dell'industria alimentare. «Si tratta, in questi casi - dice la Coldiretti - degli effetti dell'andamento climatico anomalo che nell'ultimo anno, a causa del gelo invernale, della siccità estiva e dei nubifragi autunnali, ha provocato un crollo dei raccolti». Insomma, ancora una volta il settore primario si è scoperto vulnerabile nei confronti del clima, ma anche con scarsi mezzi per controllare la produzione. Il rischio è un forte balzo in avanti delle importazioni, con evidenti ripercussioni sulla nostra bilancia commerciale oltre che sulla qualità degli alimenti.Eppure, nonostante tutto, l'agricoltura nostrana detiene una serie di primati invidiati da tutti ma che evidentemente non sempre riusciamo a sfruttare in pieno. Aldilà dei grandi numeri e del giro d'affari "scippato" dal mercato dei falsi prodotti agroalimentari italiani, le cronache di questi giorni ci forniscono a questo proposito degli esempi positivi. Basta pensare all'area del Valpolicella, di cui sono stati resi noti i dati salienti del comparto radicato in un territorio che in tre anni (dal 2009 al 2012), ha visto crescere le imprese vitivinicole quasi del 15%, e che fonda buona parte della sua economia sulla produzione vinicola e più in generale agricola, tanto da contare oltre 2.300 imprese.E per capire ancora di più di cosa la produzione agricola sia capace, basta pensare a quanto accaduto ieri dopo un lungo iter burocratico e tecnico: la registrazione definitiva negli Usa del marchio "Prosciutto Toscano" detenuto dall'omonimo Consorzio di produzione. Un passo obbligatorio per mettere in condizione le aziende locali di esportare su uno dei mercati più promettenti oggi a disposizione.C'è da augurarsi che quanto accaduto per il Valpolicella e il Prosciutto Toscano venga replicato molte altre volte. Ma rimane un dato di fondo: l'agricoltura deve essere messa in condizioni di poter crescere, e non solo di combattere battaglie in difesa.