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Google, Facebook e la pedopornografia

Gigio Rancilio venerdì 12 marzo 2021

C'è un aspetto del mondo digitale di cui non si parla abbastanza. Il motivo è semplice: è un tema così agghiacciante e doloroso che si rischia di rimanere annichiliti soltanto a pensarci. Ma, come sa bene un sacerdote come don Di Noto che lo combatte dal 1996 con l'Associazione Meter, quello della pedopornografia online è un mercato drammaticamente in crescita. L'ultimo rapporto dell'Internet Watch Foundation parla di 132.730 siti scovati «contenenti immagini di abusi sessuali su minori». Il 25% in più dell'anno precedente. Come già denunciato più volte anche da don Di Noto: la pedopornografia non esiste solo nel «dark web» (l'area alla quale si accede solo con strumenti specifici e non con i normali browser per la navigazione) ma si è diffusa e cresce in siti e forum raggiungibili da tutti, dove si trovano immagini e video (altra denuncia fatta più volte da don Di Noto) anche di neonati abusati. Nel solo 2019 l'IWF ha scovato ben 1.609 link con protagonisti bambini tra 0 e 2 anni, 15.119 link con piccoli tra i 3 e i 6 anni, 45.744 link con bimbi tra i 7 e i 10 anni e 63.533 tra gli 11 e i 13 anni. Dal canto suo, l'associazione Meter di don Di Noto, nel 2019 ha segnalato alle autorità 7 milioni e 100 mila foto pedopornografiche (il doppio rispetto al 2018) e quasi un milione di video.
«Dai dati che abbiamo emergono delle specifiche responsabilità dei colossi del web, i quali non possono più eluderle appellandosi ad una estrema tutela della privacy» scriveva Meter nell'ultimo rapporto.
Già, cosa fanno colossi come Google (che possiede YouTube) e Facebook per combattere la pedopornografia online? Partiamo da Google. «Abbiamo investito molto per scoraggiare, rimuovere e segnalare questo tipo di contenuti» hanno spiegato i vertici di Google qualche giorno fa. Bene, ma nello specifico? «Combiniamo un team di persone specializzate e formate con tecnologie all'avanguardia come software di corrispondenza hash». In pratica: Google, ma non solo lei, utilizza software che «marchiano» le foto pedopornografiche che scoprono (assegnando loro una sorta di impronta digitale), così che ogni volta che qualcuno le metterà online (in qualunque modo) i sistemi le riconosceranno immediatamente e le rimuoveranno dai social e dalle ricerche e i profili degli autori saranno bloccati. Stessa cosa vale per i video su YouTube. «Una parte cruciale dei nostri sforzi per affrontare questo tipo di abuso – continua Google – è lavorare con il National Center for Missing and Exploited Children che invia le segnalazioni alle forze dell'ordine in tutto il mondo». Dalla scorsa estate, poi, «a chiunque cerca su Google materiale pedopornografico viene mostrato un messaggio dove si dice che è materiale illegale e si danno istruzioni su come segnalarlo alle autorità».
I numeri forniti da Google sono agghiaccianti: solo nel periodo luglio-dicembre 2020 ha segnalato 2 milioni 904mila contenuti pedopornografici, rimosso dalle ricerche quasi 211mila url e bloccato 97.958 account. E Facebook? Il suo ultimo lungo rapporto è uscito lo scorso 23 febbraio. Vi si legge: «La prevalenza di questo contenuto (pedopornografico – ndr) sulla nostra piattaforma è molto bassa. Ma quando lo troviamo, indipendentemente dal contesto o dalla motivazione della persona che l'ha condiviso, lo rimuoviamo e lo segnaliamo al National Center for Missing and Exploited Children». Infine: «Nei mesi di luglio e agosto 2020 abbiamo segnalato 150 account». Numeri molto piccoli rispetto a Google. Sarebbe interessante sapere da Facebook cosa fa per fermare la pedopornografia sulle sue popolarissime app di messaggistica come Messenger e soprattutto WhatsApp. Di Telegram, purtroppo, sappiamo già: non fa praticamente nulla.