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Giuseppe Cafasso. Tra la cattedra e la prigione l'apostolato che rende santi

Matteo Liut martedì 23 giugno 2020
Sporcarsi le mani tra gli ultimi, i dimenticati, gli emarginati per trovare la via che porta al Cielo: è questa la priorità che oggi continua a indicarci come cristiani l’esempio del “prete della forca”, san Giuseppe Cafasso. Dietro al suo soprannome c’è tutta l’intensità di un apostolato vissuto tra la cattedra e il braccio della morte, accanto ai condannati. Nato a Castelnuovo d’Asti nel 1811, a 22 anni Cafasso era già prete: per l’amico don Giovanni Bosco, don Giuseppe era un “modello di vita sacerdotale”. Una testimonianza resa anche nell’insegnamento della morale a Torino, accanto al moralista don Luigi Guala, e per 24 anni si dedcò così alla formazione dei preti. Ma portò avanti anche l’impegno della catechesi e dell’assistenza a lavoratori, giovani, famiglie e ai carcerati, specie dei condannati a morte. Morì nel 1860. Altri santi. Santi Martiri di Nicomedia (303); beata Raffaella Santina Cimatti, religiosa (1861–1945). Letture. Ger 1,4–10; Sal 70; 1Pt 1,8–12; Lc 1,5–17. Ambrosiano. Nm 6,1–21; Sal 98 (99); Lc 6,6–11.