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Giovani «disorientati». E famiglie lasciate sole

Francesco Delzio sabato 9 dicembre 2017
«Giovane disorientato» è il titolo d'una fortunata hit di Rocco Hunt, giovane rapper (vincitore di Sanremo Giovani nel 2016) che canta la condizione dei millennials italiani. Ma è soprattutto la situazione più diffusa tra i nostri ragazzi, di fronte alla prima scelta decisiva per il loro futuro nella società: quella degli studi universitari da intraprendere. Come assecondare le proprie naturali inclinazioni e, al tempo stesso, imboccare una strada utile per l'inserimento nel "mercato del lavoro" più complesso della storia contemporanea? Non è facile per un ragazzo caricarsi di questa responsabilità in modo consapevole e "razionale", facendo slalom tra tonnellate di fake news trovate in rete, vocazioni e pregiudizi dei coetanei da (non) inseguire, carenza di guide solide alle quali poter far riferimento.
Le indagini in materia offrono esiti strazianti. Tra le più credibili un'ampia ricerca di AlmaDiploma che ha coinvolto 40mila diplomati, secondo la quale il disorientamento tra gli studenti in Italia inizia in tenerissima età. Fin dalle scuole medie, dal momento in cui è necessario scegliere la scuola superiore: dopo averla frequentata, quasi il 50% dei ragazzi interpellati cambierebbe la scelta fatta.
Una domanda, dunque, sorge spontanea. Chi dovrebbe occuparsi di orientamento (alla formazione e al lavoro) dei nostri ragazzi? Tutti e nessuno, secondo uno schema tipicamente italiano di polverizzazione istituzionale e sociale. Dovrebbero essere in ordine sparso il Ministero dell'Istruzione e dell'Università, le Regioni, le stesse Scuole e Università, i Centri per l'Impiego, una serie di Enti pubblici. Ma a volte è una catena di irresponsabilità: troppo pochi svolgono davvero questo ruolo complesso, delicato e costoso. Rimarrebbe un ultimo baluardo, la famiglia. Ma i genitori sono in grado, in media, di consigliare e indirizzare i loro figli con metodo (il più possibile) maieutico? Sono pronti a incrociare potenzialità e passioni dei loro figli con la realtà delle facoltà universitarie e degli sbocchi professionali?
Difficile dare una risposta di rilevanza statistica, più facile rifarsi all'esperienza quotidiana di amici, colleghi e conoscenti per approdare a conclusioni sconfortanti. Ma sarebbe troppo facile gettare la croce sulla famiglia. Aiutare un figlio a non sbagliare una scelta così importante è una responsabilità importante, che richiederebbe competenze trasversali, sensibilità psicologica e conoscenza profonda delle dinamiche di mercato: pretendere tutto questo da tutti i genitori è semplice utopia. Giovani disorientati e famiglie lasciate troppo sole: due tempi di una stessa partita. In cui perde sempre il Paese.
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