Rubriche

Giorni del virus ricordando Roma in tempo di guerra

Maria Romana De Gasperi sabato 14 marzo 2020
Igiovani nel mondo. È a voi che si chiede un grande sacrificio: giorni e ore di inattività, perdute amicizie, amori rimandati, movimento ridotto al minimo. La nostra società non vi aveva insegnato, né portato sulla via della meditazione, dell'ascolto, della lettura tranquilla. Ricordo le ore della guerra quando, nella città di Roma già fortunata per essere considerata città aperta, si era costretti a restare a casa il più possibile, a limitare le riunioni, gli incontri. L'esercito tedesco che camminava per le nostre strade metteva alla nostra giovinezza un limite alle iniziative e alla nostra fantasia. Le mura domestiche erano allora la nostra sicurezza e non la prigione come viene forse considerata dalla gioventù di oggi. La nostra società non vi ha insegnato la via della meditazione personale così ricca di iniziative, così forte di pensiero, coraggiosa e senza timone. Ricordo la mia prima giovinezza nel dopoguerra quando ancora si temeva di uscire nelle ore notturne se non accompagnate poiché, era facile incontrare gli uomini dell'esercito americano completamente ubriachi causa il vino dei castelli romani. Il vino di allora, venduto nei fiaschi, era allegro e sconosciuto a quell'esercito, così si trovavano soldati nelle ore dell'uscita completamente ubriachi e seduti sui marciapiedi del lungotevere cantando. Più tardi, nelle ore notturne, le forze dell'ordine del loro esercito venivano a raccoglierli e portarli via sulle gip. Eravamo in un clima di libertà, ma non abituati, dopo anni di dittatura e di guerra a condizionare la nostra vera vita al tempo nuovo. L'Italia distrutta dai bombardamenti e dal passaggio degli eserciti ci offriva speranze, ma non ancora sicurezze. Solo la differenza tra la paura delle armi e finalmente il loro silenzio ci aiutò a riprendere la vita. Ma quanta fatica, quante rinunce ci era costata quella pace. Troppo tempo è passato e siamo rimasti in pochi a potervi raccontare esperienze personali. Questa di oggi è un nuovo tipo di guerra dove si muore non per le armi, ma per la forza di un nemico invisibile. Non ci si chiede di sparare. Ma di eliminare quello che ci può togliere la vita restandogli lontano, quasi nascosti come in una boscaglia. Sopravvivere leggendo, lavorando, insegnando ai più piccoli, scoprendo attività domestiche che avevamo dimenticato. C'è chi sa dipingere, cantare, recitare e suonare, raccontare, rendere le ore che passano interessanti, diverse dal solito. E poi tutto questo avrà un suo termine e ci troveremo più forti, più interessanti alla vita degli altri, forse meno egoisti e più coraggiosi. È infine una grande prova di umanità che scorre sul nostro pianeta. Siamo una famiglia sola bianchi, neri, gialli, tutti figli dell'uomo con le stesse necessità, i medesimi sogni ed anche gli stessi vizi. La terra ci sta insegnando che una sola è la via aperta al nostro cammino: la collaborazione, lo scambio, l'aiuto, quasi una religione comune.