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Giocare a rugby con chi amiamo

Marco Voleri giovedì 4 aprile 2019
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«Effe quattro». «Acqua». «Erre dieci». «Ancora acqua». Ottavia si stava spazientendo. «È possibile che trovi sempre l'acqua? Che gioco stupido, battaglia navale! Io voglio colpire qualcosa, voglio affondarti le barche. Papà, ho deciso: voglio cominciare a giocare a rugby. Altro che battaglia navale!». Tredici anni pieni zeppi di agonismo e lentiggini sul naso. Michele la guardava sorridendo. «Stai tranquilla Ottavia, a forza di perseverare troverai quello che cerchi». Certo, se la vita fosse una sequenza di colpi nell'acqua alla lunga diventerebbe quasi monotona. Pensate ai rapporti umani: spesso e volentieri ci abituiamo al pensiero che tutto vada bene quando non ci si scontra. Tutto quadra finché gusti, desideri e amicizie collimano con gli altri. Come in una sorta di "pilota automatico mentale" ci raccontiamo, talvolta, che la grande intesa o il capirsi con uno sguardo siano sinonimo di grande spessore di relazione umana. Il discutere spesso viene etichettato come una ferita nei rapporti umani. In verità scontrarsi nelle proprie diversità e unicità può essere un sintomo di arricchimento personale. Nello scontro non ci si nasconde, ci si conosce. Nella vita che si condivide con gli altri si dovrebbe mettere in conto il sano gusto della battaglia, oltre a quello – più scontato – del voler bene. Una buona battaglia, fatta di onestà e obiettività, è salutare e costruttiva. Porta, con grande naturalezza, a un principio di vicinanza e uguaglianza nei rapporti. Certo, è faticoso discutere, mettere in discussione se stessi o chi ti sta davanti. Eppure è un modo per conoscersi ed addirittura avvicinarsi. «Il rugby è un'ora e mezza di battaglia che può cementare amicizie per tutta una vit», afferma il giornalista Henri Garcia. Ottimizziamo le mischie e le mète della vita, ci tornerà forse utile per l'anima. Ottavia è prontissima.