Rubriche

Geopolitica: l'imperialismo inglese (che studia il cinese) fa povero l'italiano

Alfonso Berardinelli sabato 29 gennaio 2011
«Lingua è potere». Con questo titolo euforizzante o intimidatorio, la rivista di geopolitica "Limes" pubblica uno dei suoi quaderni speciali per spiegarci che le lingue hanno ognuna un potere misurabile e specifico: hanno un peso geopolitico, occupano spazi molto estesi o ristretti, sono in competizione fra loro, convivono, invadono e colonizzano, o viceversa subiscono il dominio di lingue più forti e prestigiose, più "spendibili" e "desiderabili".
Questo fascicolo monografico di "Limes" è molto utile. Si divide in tre sezioni: Italiano/Italiani, La Babele europea, Le lingue europee nel mondo. Ma l'editoriale di Roberto Mulinacci, che insegna lingua portoghese all'università di Bologna, illustra il senso della prospettiva geopolitica in linguistica. La lingua, dice, è «soprattutto un luogo (") in cui abita la nostra identità collettiva», fonda e sostiene il «sentimento di appartenenza a quel territorio dell'anima che chiamiamo patria». Si tratta di un «terreno di confronto - forse il più importante - dei rapporti di forza tra Stati impegnati a contendersi la supremazia».
Oggi «la lotta per l'egemonia linguistica su scala planetaria» è di nuovo calda soprattutto per ragioni extralinguistiche. Tanto per fare un solo esempio, oggi il cinese è una delle lingue più insegnate proprio negli Stati Uniti , che hanno imposto al mondo l'inglese come lingua "imperiale" per antonomasia.
Ci sono anche due brillanti interventi di scrittori, Antonio Pascale e Antonio Pennacchi, che costeggiano il problema linguistico e c'è un discorso di Luca Serianni e Lucilla Pizzoli «Per un museo dell'italiano». Poco rappresentata, mi sembra, è la situazione piuttosto allarmante in cui si trova il lessico italiano debilitato e impoverito da quello inglese. Chi non dice: security, performance, outlet, fastfood, bodyguard, escort, rating, share, target, budget, gadget...?