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Funari e la sua tivù nel bel doc di Sky

Andrea Fagioli martedì 22 marzo 2022
«La televisione sono io» è un'affermazione presuntuosa, eppure non è del tutto lontana dalla verità, soprattutto se si parla di una certa televisione e di un certo periodo. Questo a prescindere dalla qualità o meno di quel tipo di televisione. Il riferimento è a Gianfranco Funari (1932-2008) e alla frase autocelebrativa sentita insieme a tante altre nel documentario Funari Funari Funari di Marco Falorni e Andrea Frassoni in onda ieri sera su Sky Documentaries (disponibile anche on demand e in streaming su Now). Il titolo Funari Funari Funari può essere riferito alle sue tre vite reali e alle altrettante vite virtuali. Nel primo caso al fatto di essere stato croupier, cabarettista e conduttore televisivo. Nel secondo al fatto di essere stato protagonista, con maggiore o minore successo, di tre decenni televisivi con tre diversi gruppi: gli anni Ottanta con la Rai, gli anni Novanta con Mediaset (allora Finivest) e i primi anni Duemila con Odeon Tv. Senza ovviamente dimenticare che il primo grande successo, Aboccaperta, nasce a Telemontecarlo che poi cede il format a Rai 2. Trent'anni di storia della televisione italiana che il documentario di Sky racconta attraverso le testimonianze di familiari, collaboratori, colleghi ed esperti di televisione, con l'ausilio di video inediti, filmati di repertorio e oggetti personali (alcuni dei quali Funari volle nella bara): le sigarette, l'accendino, le carte, le fiches, il cappello bianco, il bastone e il telecomando, che qui vengono maneggiati da un attore per inframezzare un racconto al termine del quale si ha conferma di come il conduttore abbia sdoganato la gente comune in televisione, abbia contribuito a rendere più comprensibili i politici, ma al tempo stesso si sia trasformato in tribuno del popolo avviando il populismo in tv.