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Francesco, la Rete e il modello di una comunicazione sinodale

Guido Mocellin mercoledì 14 marzo 2018
Il pontificato di Francesco ha festeggiato i cinque anni e la Rete ha gareggiato con la carta stampata nel proporre provvisori bilanci, potendo esibire, specie attraverso i social network, una gamma di sentimenti che l'informazione mainstream fatica a riprodurre – compreso il gioco di riandare con la memoria al momento nel quale ciascuno ha appreso dell'elezione. Limitatamente a siti e blog, a partire dallo scorso sabato ha parlato del Papa un post su tre. Li si può leggere uno per uno, scendendo e risalendo i pendii delle analisi storiche, politiche, teologiche e pastorali, oppure andare direttamente "da Valli a La Valle" (se posso scherzare sull'assonanza dei cognomi di due osservatori dai contenuti invece dissonanti). Su "Crux", il sito anglofono che promette di "tastare il polso cattolico", passa un titolo di sintesi: «Che lo si ami o no, questo Papa è una figura di rilievo».
Molti dei commenti pongono l'accento, naturalmente, sulla capacità comunicativa di Francesco. Su "Vatican News" (tinyurl.com/ybd7tnnd) Sergio Centofanti esibisce, accanto agli indicatori quantitativi abituali per un pontificato – quanti documenti maggiori, quanti Sinodi, quanti Paesi visitati, quante catechesi, quante omelie...) –, quelli dei follower: 46 milioni su Twitter e più di 5 milioni su Instagram. Dal canto suo Alessandro Gisotti, intervistato sul sito dell'Ucsi (tinyurl.com/y7uz4z46), propone un'immagine: «Anche nel suo modo di parlare mi pare che Francesco cammini in mezzo al popolo di Dio, anche il suo modo di comunicare è "sinodale"». Mi piace l'accostamento tra «comunicazione» e «sinodale», per dire il modello di una comunicazione ecclesiale in cui si cammina insieme, senza escludere a priori nessun interlocutore. A essa la Rete dà e può continuare a dare il suo contributo, a condizione che la Chiesa vi sappia riconoscere un «bene comune», e perciò senta la responsabilità di difenderla e salvaguardarla.