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Francesco chiama per nome e lascia «alla catena» il gran nemico: il diavolo

Salvatore Mazza sabato 12 maggio 2018
Il diavolo, si dice, non è poi così brutto come lo si dipinge. E, in effetti, mai come oggi, quando bene e male sembrano aver perso ogni senso oggettivo, questo adagio popolare sembra vero e plausibile. Come al termine del percorso attraverso una secolare finestra di Overton – quel processo di formazione del consenso che arriva a rendere accettabile (e legale) un'idea inizialmente “impensabile” – il diavolo moderno ci appare straordinariamente tranquillo, quasi innocuo, seducente come non mai. Rassicurante, persino. Non solo, cioè, “non poi così brutto come lo si dipinge”, ma addirittura affidabile. Praticamente un amico.
E non è allora una combinazione se papa Francesco, una volta di più è tornato ad ammonire su quanto «rabbioso» e «pericoloso» sia il diavolo, che sia pure già «sconfitto» può essere capace di «colpi di coda» anche mortali. Ed è questa la ragione per cui a questo «angelo di ombra, di morte» non bisogna avvicinarsi mai. Perché, come disse lo stesso Francesco in un'intervista dello scorso dicembre a Tv2000, il diavolo «è una persona» con la quale «non bisogna mai dialogare» in quanto «il diavolo è più intelligente di noi».
Che si tratti di un allarme del quale papa Bergoglio sia profondamente consapevole non c'è alcun dubbio. Da quando, nel 1972, Paolo VI disse che «il Demonio è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero, e che con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana», sollevando un immenso scalpore, nessun Papa come Francesco ha citato con tanta frequenza e preoccupazione il diavolo. Il cui «ingresso da qualche fessura nel tempio di Dio», sono ancora parole di Montini, non è un modo di dire, sapendo oggi dei veri e propri scontri che con lui ebbe nel palazzo apostolico Giovanni Paolo II, uno dei quali, nel 1982, confermato nel suo libro postumo da Jacques-Paul Martin, ex prefetto della Casa Pontificia. E lo stesso sperimentò Benedetto XVI come raccontato nel 2012 da padre Gabriele Amorth nel suo “L'ultimo esorcista”.
Certo, siamo di fronte a uno «sconfitto». Una sconfitta che ancora «è tanto difficile da capire» perché, ha ripetuto martedì scorso papa Francesco, il diavolo ha appunto «questa capacità di sedurre», sa «quali parole dirci» perché «si presenta con grande potere, ti promette tante cose, ti porta dei regali – belli, ben incartati – “Oh, che bello!” – ma tu non sai cosa c'è dentro – “Ma, la carta fuori è bella”». Tutte bugie, perché Satana è «il padre della menzogna... il grande bugiardo che sa parlare bene, ma solo per ingannare». E «noi, scemi, gli crediamo» visto che quando si toccano certi punti, certi tasti sensibili, «compriamo tutto».
Per questo, allora, «dobbiamo essere attenti», si è ripetuto e ci ha ripetuto Francesco. Come Gesù nel deserto dobbiamo «vigilare, pregare e digiunare». Cominciando col «non avvicinarci a lui», perché è come una bestia inferocita seppure frenata, a cui però è meglio non dare neppure una carezza perché morde. E fa male. «Se io so che spiritualmente se mi avvicino a quel pensiero, se mi avvicino a quella voglia, se io ci vado da quella parte o se mi sto avvicinando al cane arrabbiato e incatenato. Per favore, non farlo... “Ho una ferita grossa...”. “Chi te l'ha fatta?”. “Il cane”. “Ma era incatenato?”. “Eh, sì, io sono andato a dargli una carezza”. “Ma te la sei cercata”. È così: non avvicinarsi mai...». E allora, il diavolo, «lasciamolo lì incatenato». Sempre. Per vincerlo.