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Firmato il decreto, il «contratto di rete» arriva anche nei campi

Andrea Zaghi sabato 18 gennaio 2014
Il contratto di rete che consente assunzioni congiunte fra diverse imprese arriva anche in agricoltura. È - in apparenza - un passaggio tecnico nell'ambito del mercato del lavoro. In realtà, per i campi, il cosiddetto job sharing può essere un'occasione per le imprese agricole: la possibilità di effettuare un salto qualitativo importante. Soprattutto oggi, nel momento in cui sopravvive (e magari cresce), l'impresa che risponde meglio alle nuove domande, a mercati più concorrenziali, a opportunità da conquistare e sviluppare. Ciò che si profila è un comparto - quello agricolo e agroalimentare - altro da quanto fino ad oggi siamo stati abituati a vedere. Un settore che fa suo non solo il concetto di qualità alimentare, ma anche quelli di collaborazione e cooperazione (metodo di lavoro, quest'ultimo, che in effetti proprio in agricoltura ha già una storia centenaria). Grazie quindi al contratto di rete, le imprese agricole dovrebbero essere messe più di prima in condizione di cogliere nuove opportunità di sviluppo, ad esempio assumendo uno specialista di marketing o di nuove tecnologie dell'informazione, oppure un esperto di sicurezza alimentare, o ancora uno specialista, ripartendone gli oneri tra più soggetti legati - appunto -, da un contratto di rete. Tutto, fra l'altro, con un occhio particolare ai giovani da ambo le parti: le nuove leve agricole e i nuovi tecnici diplomati e laureati che si affacciano al mondo del lavoro. Oltre all'aspetto lavorativo, come già accennato, il job sharing porta con se' anche un aspetto culturale: è uno nuovo strumento di collaborazione, cooperazione e riorganizzazione aziendale. Che sono poi le vere indicazioni d'azione che arrivano dai mercati e dall'Europa. Proprio ieri, su questi temi, ha ragionato Paolo De Castro - presidente della commissione Agricoltura del Parlamento Ue -, in una lezione all'Accademia Georgofili a Firenze, parlando della nuova Politica agricola comune (Pac).Se poi non bastasse la Pac, altre spinte in questa direzione arrivano dai mercati e dall'export in particolare. Le vendite agricole all'estero vanno bene, ma - è opinione di tutti -, potrebbero andare meglio se le imprese riusciranno a mettere in comune servizi, capacità qualitativa, prodotti, strategie di vendita. Soprattutto se si tiene conto della leggera flessione della crescita delle vendite all'estero, segnalata da Coldiretti, e della necessità da parte delle imprese, evidenziata da Confagricoltura, di proiettarsi in una dimensione più globale, trasformando in opportunità ciò che altri spesso vedono come rischio.Vinta la sfida della qualità, adesso occorre affrontare e superare quella della collaborazione.