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Fake news, l'epidemia non si ferma: peggiora

Gigio Rancilio venerdì 11 gennaio 2019
Secondo una ricerca delle università di New York e Princeton, pubblicata su "Science Advances" e resa nota ieri, l'8,5% degli utenti americani ha rilanciato sui social contenuti palesemente falsi. Con delle differenze sostanziali. «Ha condiviso una fake news l'11% degli utenti di età superiore ai 65 anni e solo il 3% di quelli tra i 18 e i 29 anni». Non solo. «Gli over 65 hanno rilanciato in media il doppio delle bufale rispetto ai 45-65enni e sette volte più dei 18-29enni».
C'è anche un altro dato molto interessante. «Gli utenti che si sono definiti conservatori si sono dimostrati più propensi alla condivisione di fake news: lo ha fatto il 18% dei repubblicani, contro il 4% dei democratici».
Quelle che noi chiamiamo «fake news» sono sì processi di disinformazione presenti da sempre nella lotta politica, ma – come sottolinea Giuseppe Riva nel suo volume «Fake News», edito dal Mulino – quelle presenti sui social sono «il risultato di un lavoro di ingegneria comunicativa e sociale completamente nuovo».
Riva è ordinario di Psicologia della comunicazione e dirige il Laboratorio di interazione comunicativa e nuove tecnologie presso l'Università Cattolica di Milano. Le moderne «fake news», come ci ricorda, nascono tra la fine del 2015 e il 2016. E sono tutt'altro che in calo. Soltanto in Italia, secondo uno studio di Human Highway, ci sono almeno 90 siti web che hanno come obiettivo editoriale quello di creare fake news. «La maggior parte di queste non sono notizie completamente false, ma presentano i fatti in modo distorto, orientato esplicitamente al supporto di tesi pregiudiziali per generare nel lettore odio e disgusto». Ancora oggi «questi siti producono 600 fake news al giorno». Il problema è molto serio. Così serio che, secondo un sondaggio Demos-Coop, «più del 50% degli italiani intervistati ha considerato, nell'ultimo anno, come vera una notizia letta su internet o sui social che si è poi rivelata falsa, e il 23% ha ammesso di averla condivisa».
Nel suo volume, Riva racconta anche di una sezione del Kgb chiamata «Dipartimento D». Guidata dal generale Ivan Ivanovich Agayantis – militare, spia e scienziato sociale – era specializzata nella disinformazione. Inventò alcune manipolazioni clamorose come l'«Operazione svastica». «Alla vigilia del Natale del 1959 apparvero sui muri della sinagoga di Colonia alcune svastiche con la scritta "i tedeschi chiedono che gli ebrei se ne vadano"». Nei due mesi successivi nella zona si registrarono ben 833 diverse azioni antisemite. «Un'operazione del genere fu ripetuta in un piccolo villaggio a 50 km da Mosca, dove non erano mai stati segnalati episodi di razzismo. E anche lì seguirono vari casi di antisemitismo». Non solo. «All'inizio degli anni 90 il capo dello spionaggio russo Egvenij Primakov ammise che con un "esperimento" del genere nel 1983 fu diffusa la voce che l'Aids fosse stata creata in laboratorio dal governo Usa».
Non deve stupire allora che dal 2015 la Russia abbia investito e investa molto su campagne fake sui social, visto che proprio grazie all'avvento di Twitter e Facebook le bufale si diffondono sei volte più rapidamente delle notizie vere. Un'epidemia che coinvolge tutti. In questi giorni, per esempio, sono circolate sui social italiani alcune fotografie che ritraggono campi tendati ad Amatrice sotto la neve, con commenti feroci verso «chi vuole accogliere i migranti, ma lascia in quelle condizioni gli italiani».
«Sono foto di oggi» hanno scritto in tanti. E tanti altri hanno condiviso. Peccato che, come ha scoperto Open, siano foto del 2017, prese dal sito Tgcom24. Altre invece sono di un campo profughi in Libano. Altre ancora sono state scattate in Siria. Anche davanti all'evidenza, però, i più sono andati avanti nel sostenere la loro finta verità. Perché senza preconcetti e basso tifo politico le fake news non servirebbero a granché. Invece si diffondono sempre di più.