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Evitare i troppi anglicismi è questione di educazione

Alfonso Berardinelli venerdì 14 aprile 2023
Si è molto parlato dell’in-tenzione della destra politica italiana, con una proposta di legge, di multare nel prossimo futuro l’uso immotivato di parole inglesi nei documenti della pubblica amministrazione. La cosa ha immediatamente provocato scandalo e beffarda ilarità nella sinistra. Ecco di nuovo, si dice, il nazionalismo fascista con i suoi anacronismi, il suo autoritarismo indecente, il suo volto ridicolo e provinciale, conservatore, reazionario e culturalmente sprovveduto. In queste accese e soddisfatte reazioni nell’opinione di sinistra c’è qualcosa di comprensibile, ma anche qualcosa di dogmatico. Multare o non multare, l’uso immotivato di termini inglesi, o comunque non italiani, è una questione di appropriatezza e di decenza. Come sanno non solo i linguisti, ma anche i comuni parlanti, esistono problemi di contesto nell’uso appropriato del lessico. Il contesto detta o suggerisce l’opportunità nelle scelte lessicali. Se il contesto è quello della comunicazione delle istituzioni statali rivolta ai cittadini, non è forse “giusto” che lo stato italiano parli ai cittadini italiani evitando termini inglesi? Ai raffinati di sinistra non andrebbe forse detto che è un po’ “da cafoni” che un sindaco, nell’esercizio del suo ruolo, dica “location” e “happy hour” invece che “luogo” e “ora dell’aperitivo”? Sarebbe appropriata una circolare ministeriale in cui si parli di “drivers”, di “runners”, di “teaching”? Sembra ormai inevitabile dire “day hospital”, “training”, “performance” (spesso pronunciata con l’accento sbagliato) e “check-in”. Ma per esempio non sarebbe stato meglio, anni fa, tradurre subito con “differenziale” o “scarto” il famigerato termine di “spread”? La diffusione del lessico inglese è un fenomeno d’epoca inarrestabile perché è imposto da potenze senza volto contro cui siamo diventati impotenti: economia, tecnologia, globalizzazione. Eppure, per rispetto dei vecchi e dei bambini, non sarebbe più educato e più educativo tradurre in italiano le paroline inglesi di moda ogni volta che si può e che non risulti troppo goffo? Il lessico italiano sembra essere al suo tramonto. Il giornalismo televisivo e internet non aiutano certo a tenerlo in vita e in buona salute. Più di mezzo secolo fa il linguista Tullio De Mauro lodò la televisione perché aveva unificato linguisticamente l’Italia aiutandoci a parlare italiano. Oggi ci aiuta invece ad accogliere immediatamente termini inglesi non necessari e a dire “occhei” abolendo il “sì”, di cui nessuno ha più memoria. L’Italia non è più il «bel Paese la’ dove ‘l sì suona», come diceva Dante (Inferno, XXXIII). © riproduzione riservata