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Essere cristiani senza compromessi

Salvatore Mazza sabato 26 gennaio 2019
Pusillanime è una parola dalle molte sfumature, che sottintende molti significati. Indica un atteggiamento rinunciatario o irresoluto fino alla vigliaccheria. Una attitudine a scappare, a non prendere posizione, a nascondersi, defilarsi. Un poco come il personaggio di Don Abbondio, quello che «il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare», divenuto il paradigma di un certo modo di comportarsi. Un modo sempre biasimevole, ma tanto più brutto per un cristiano, in quanto contraddice quella che è – o dovrebbe essere – la sua più autentica natura, il cammino di crescita che ogni credente è chiamato a seguire. Infatti, come ha detto Papa Bergoglio qualche giorno fa nell'omelia della consueta messa mattutina a Santa Marta, «possiamo domandarci: ho il cuore duro, ho il cuore chiuso? Io lascio crescere il mio cuore? Ho paura che cresca?». E, ha spiegato Francesco, «si cresce sempre con le prove, con le difficoltà, si cresce come cresciamo tutti noi da bambini: impariamo a camminare cadendo, dal gattonare al camminare quante volte siamo caduti! Ma si cresce con le difficoltà. Durezza. E lo stesso, chiusura. Ma chi rimane in questo sono i pusillanimi. La pusillanimità è un atteggiamento brutto in un cristiano, gli manca il coraggio di vivere. Si chiude: è pusillanime». Questo atteggiamento, questa chiusura, può avere diverse facce. Una di queste è «l'ideologia», che «è un'ostinazione» in quanto «la Parola di Dio, la grazia dello Spirito Santo non è ideologia: è vita che ti fa crescere, andare avanti e anche aprire il cuore ai segnali dello Spirito, ai segni dei tempi. Ma l'ostinazione è anche orgoglio, è superbia. La testardaggine che fa tanto male: chiusi di cuore, duri sono i pusillanimi; i testardi, gli ostinati, come dice il testo sono gli ideologi. Ma io ho un cuore testardo? Ognuno pensa. Io sono capace di ascoltare le altre persone? E se la penso altrimenti, dire: ma io la penso così... Sono capace di dialogare? Gli ostinati non dialogano, non sanno, perché si difendono sempre con le idee, sono ideologi. E le ideologie quanto male fanno al popolo di Dio, quanto male! Perché chiudono l'attività dello Spirito Santo».
Un'altra faccia di quella chiusura è, per Francesco, «la seduzione: o ti converti e cambi vita o cerchi di fare compromesso: ma un po' di qua e un po' di là». Una situazione in cui il rischio è che «tu incominci a fare una vita cristiana doppia. Per usare la parola del grande Elia al popolo di Israele in quel momento: zoppicate dalle due gambe. Zoppicare dalle due gambe, senza averne una ferma». Questa però non è altro che «la vita di compromesso», la vita «dei tiepidi, coloro che vanno sempre al compromesso: cristiani di compromesso. Anche noi tante volte facciamo questo: il compromesso».
Essere davvero cristiani, invece, vuol dire rifiutare ogni ostinazione, ogni superbia, ogni compromesso. Vuol dire affidarsi, abbandonarsi totalmente e senza condizioni al Signore. Nell'intervista introduttiva al libro Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano, nel 2014 Benedetto XVI sottolineava come per comprendere appieno il pontefice polacco sia indispensabile partire «dal suo immenso rapporto con Dio, il suo essere immerso nella comunione con il Signore». Questo era il suo nutrimento, tutto quello di cui aveva bisogno. Per Ratzinger «Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni, ed era pronto anche a subire colpi. Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di primo ordine della santità». Rifiutando sempre ogni ostinazione, ogni superbia, ogni compromesso.