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Essere cristiani «non da salotto»: vita vera e mai cercata sofferenza

Gianni Gennari giovedì 6 luglio 2017
Lupus diverso dal solito. Francesco nella festa di Pietro e Paolo ricorda che quest'ultimo si è giocato tutto con l'adesione a Gesù: «Per lui vivere era Cristo (Fil. 1, 21)». Dovrebbe esserlo per tutti i Suoi discepoli, e se non è così vuol dire che la “conversione” non è ancora piena. Nell'omelia su «I cristiani non da salotto, ma apostoli» (qui 30/6, p. 23) arriva una frase che colpisce e pro-voca. «Paolo – dice Francesco – per amore di Cristo ha vissuto prove, umiliazioni e sofferenze, che non vanno mai cercate, ma accettate». Rileggo: «Non vanno mai cercate»! Viene in mente un certo modo di presentare la perfezione fatta soprattutto di dolori e sacrifici da offrire: secoli di storia in questo, non sempre equilibrati. Le sofferenze cercate e vissute talora corrono il rischio di farci sentire necessari persino ai disegni di Dio... Viene bene, allora, la sorridente lezione di San Leopoldo Mandic, testimone della Misericordia e dell'ecumenismo, che raccomandava di accogliere le sofferenze che arrivano, anche perché non c'è bisogno di cercarle. E per questo, forse, Teresa di Lisieux (9/6/1895) non fece sua l'Offerta alla Giustizia vendicatrice di Dio, ma quella all'Amore misericordioso da accogliere amando il prossimo con lo stesso Amore di Dio. Senza superbia, senza rischio di sentirci migliori degli altri, e con la serena disposizione a cogliere le prove dell'amore di Dio nel modo in cui Egli le invia e vuole che le accogliamo. Alla scuola di Paolo, di tutti i Santi veri dispensatori della misericordia, di Dio e propria, e di papa Francesco, con sorriso e buonumore: al resto penserà sempre il Signore... Qualcuno mi dirà che mi è venuta una predica? Pazienza! Accolgo l'osservazione senza sofferenza: mi scuso e penso che forse ero in crisi di... astinenza da omelie e dintorni.