Erano anche nostri figli. Così è emerso il male
Quei quaranta bambini. Di bambini, in guerra, ne muoiono sempre tanti, sotto le bombe, di stenti, di fame. Ma, volontariamente sterminare quaranta lattanti o bambini di poco più grandi, fare fuoco sulle culle o sui letti in cui dormivano abbracciati ai genitori, è altra cosa. È la mano di Erode, viva, che torna. Un preciso, preordinato massacro di innocenti, e non per il gesto di un folle, ma di miliziani di Hamas: che a casa certamente hanno
dei figli, e sanno, quali occhi hanno quei figli, a un anno. (Come hanno potuto, ti chiedi). E sì, sappiamo dei pogrom nazisti nei ghetti ebraici, e che dai vagoni blindati avviati verso i lager sporgevano anche mani di bambini. Sappiamo dell’Holodomor ucraino, e - con un certo ritardo – ci dissero ciò che accadde nelle Foibe.
Sapevamo insomma che la guerra non finisce mai; ma questa di Kfar Aza, questa roba non è guerra, questo davvero è il Male puro. Resterà, questo 7 di ottobre in Israele. Di stragi orrende, dall’11 settembre 2001, in questo giovane secolo ne abbiamo viste tante. Ma quaranta bambini – una nidiata, vi immaginate cosa sarebbero stati al risveglio, la mattina? – freddamente annientati, questa no, non chiamiamola guerra: è cieca volontà di sterminio. E noi che credevamo, noi figli del Novecento, che simili cose non sarebbero più accadute. La Liberazione, la pace, e il processo di Norimberga, e i Diritti dell’uomo solennemente ribaditi - quei capitoli, in fondo ai libri di storia, letti di fretta, a giugno, sotto gli scrutini, e così rassicuranti: quel passato fra noi non sarebbe tornato. La guerra dei Balcani è stata la prima frattura nella nostra certezza, ma non ci minacciava direttamente. I tank russi oltre la frontiera ucraina un anno e mezzo fa ci hanno sconvolti; e le fosse comuni, e le barbarie sui civili, sulle donne. Poi, lentamente, anche all’Ucraina ci siamo assuefatti (Kiev, in fondo, sembra lontana). Ma l’altra notte quello stesso spurgo di melma è venuto su dagli abissi in una mite notte in Israele, accanto a Gaza: sul Mediterraneo, il nostro mare. Erano quaranta bambini, dentro, speriamo, a un profondissimo sonno. Il ciuccio in bocca, l’odore dolce del latte addosso. (Come avranno fatto, quelli che hanno sparato?)
Ma qualcosa abita nel più buio recesso di noi, sotto terra, e in certe ore viene su, per profonde radici, viene alla luce. È il nostro male, quello da cui i cristiani chiedono nel Padre nostro di essere salvati: “Libera nos a Malo” ( spesso, in verità, lo ripetiamo un po’ distrattamente). Quasi ottant’anni dopo, com’è possibile? Che cosa ci accade? E forse cerchiamo di dirci che in quella terra aspramente contesa e divisa si respira violenza e odio da decenni, che insomma è “altrove” che si è aperto l’inferno, non da noi. Pure, questo 7 ottobre 2023 sembra una pietra smossa in un apparentemente solido muro, da cui si allarga una crepa profonda. Quel muro siamo noi, e quei bambini – quella cucciolata che al mattino si sarebbe svegliata festante, chiassosa, affamata -
erano in verità anche figli nostri.
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