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Eleganza e tenacia, il fascino del ginkgo

Cesare Cavalleri mercoledì 11 novembre 2020
Il ginkgo è un albero elegantissimo, con le sue foglie a ventaglio che sembrano disegnate dal tratto sicuro di Aubrey Beardsley, il supremo illustratore della Salomè di Oscar Wilde, morto a soli ventisei anni, genio del Liberty. Ginkgo è il titolo del libro che Peter Crane ha dedicato a questa peculiare specie arborea, con l’appropriato sottotitolo: «L’albero dimenticato dal tempo» (Olschki, pagine 272, euro 25,00; traduzione di Gianni Bedini, presentazione di Fabio Garbari). Perché dimenticato dal tempo? Perché ci sono reperti fossili di ginkgo che risalgono a duecento milioni di anni fa: il ginkgo è sopravvissuto ai dinosauri, all’archaeopteryx, a migliaia di specie animali e vegetali estinte, al diluvio universale, a terremoti e sconquassi d’ogni genere. E i ginko che adornano i nostri viali e i nostri giardini discendono in linea diretta e ininterrotta dai ginkgo di duecento milioni di anni fa. Un ginkgo di Hiroshima è sopravvissuto all’atomica che lo aveva defoliato: piano piano ha rimesso le foglie e adesso è monumento nazionale. Un vero campione di resilienza. Nell’antichità il ginkgo era diffuso quasi ovunque. Negli ultimi millenni si concentrò in Cina, Giappone, Corea. In Europa fu reintrodotto dal medico e botanico tedesco Engelbert Kaempfer (1651–1716) che nel 1690 fece un viaggio in Giappone e ne tornò con pianticelle di ginkgo che presentò alla comunità scientifica. Fu lo stesso Linneo, supremo classificatore che conosceva le opere di Kaempfer, a dargli nel 1771 il nome scientifico di ginkgo biloba (in effetti le foglie sono bilobate) con cui è conosciuto tuttora. Goethe, accanto alla sua casa di Weimar, aveva un ginkgo a cui era tanto affezionato da dedicargli una poesia nella raccolta Divano occidentale–orientale (1819). In Cina il ginkgo è designato anche come «albero nonno–nipote», perché se si pianta un ginkgo ne godranno i nipoti, anche se, in realtà, venti o trent’anni sono sufficienti. Da qui il proverbio: «Il momento migliore per piantare un albero era vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso». In Italia, il ginko più antico vive nel Giardino dei Semplici a Padova: risale al 1759 ed è alto 18 metri. Il tronco ha una circonferenza di quattro metri. In Cina, al grande ginkgo di Li Jiawan è accreditata un’età di 4.500 anni, ma la datazione sembra alquanto leggendaria. I frutti di ginkgo, soprattutto tostati, sono un ingrediente della cucina cinese. Le foglie sono usate in erboristeria, e si dice che abbiano una certa efficacia per rafforzare la memoria. Anche la segretaria di Crane una volta gli ha confidato: «Oh sì, è da qualche tempo che prendo il ginkgo per la memoria – quando me ne ricordo». Con leggero cinismo, un articolo di “Scientific American” del 2003 ha ricordato che «questo popolare integratore erboristico può migliorare lievemente la memoria, ma lo stesso effetto si può ottenere mangiando una barretta di cioccolato». Un’altra peculiarità del ginkgo è che, in autunno, le sue foglie cadono tutte insieme, in perfetta sincronia, formando un magnifico tappeto giallo ai piedi dell’albero. Questo e moltissimo altro si legge nel libro affascinante di Peter Crane, con splendenti illustrazioni a colori.