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E se non ci applaudono? Facile: «Silenzio, e avanti»

Salvatore Mazza sabato 2 luglio 2022
In un celeberrimo spot pubblicitario trasmesso da Carosello negli anni Sessanta si vedeva Ernesto Calindri sorseggiare un bicchiere di liquore seduto a un tavolino da bar in mezzo a un fiume di macchine che vorticosamente gli passavano attorno. Un po' di secondi, poi una voce invitava a bere quel liquore «...contro il logorìo della vita moderna». A ripensarci oggi viene un po' da sorridere pensando che, se quello era il logorìo di sessant'anni fa, per combattere il logorìo di oggi servirebbero flebo quotidiane di bromuro. Affannati come siamo, quasi frenetici, sembra che tutto sia sempre lì lì per sfuggirci di mano. E mai un riscontro, magari anche incidentale, per le cose che facciamo. Abbiamo un bisogno quasi disperato dell'approvazione, di vedere riconosciuto il merito per il nostro lavoro, il nostro impegno. Un'attesa che ci logora, e non servono liquori o bromuro per combatterla.
Questo succede anche quando facciamo una buona azione. Ci avvitiamo in un meccanismo di azione/approvazione a tal punto perverso che, talvolta, sembra quasi che il vero motivo per cui la facciamo sia solamente la medaglia che ci possiamo appuntare sul petto. E che, se non arriva, ci arrabbiamo pure. Sappiamo e vediamo tutti i santi giorni come sia facile, per persone, associazioni e movimenti che si dicono cristiani, cadere in questo insidioso circolo tutt'altro che virtuoso. Il bene fatto non è tale se non c'è nessuno che vede. E quando il bene che facciamo «magari con sacrificio», ha spiegato papa Francesco alcuni giorni fa, «anziché accoglienza» trova «una porta chiusa». È a quel punto che scatta «la rabbia: tentiamo perfino di coinvolgere Dio stesso, minacciando castighi celesti». Ma non è questa la via che Gesù ci ha insegnato, «non la via della rabbia, ma quella della ferma decisione di andare avanti, che, lungi dal tradursi in durezza, implica calma, pazienza, longanimità, senza tuttavia minimamente allentare l'impegno nel fare il bene. Questo modo di essere non denota debolezza ma, al contrario, una grande forza interiore. Lasciarsi prendere dalla rabbia nelle contrarietà è facile, è istintivo. Ciò che è difficile invece è dominarsi, facendo come Gesù che – dice il Vangelo – si mise "in cammino verso un altro villaggio". Questo vuol dire che, quando troviamo delle chiusure, dobbiamo volgerci a fare il bene altrove, senza recriminazioni. Così Gesù ci aiuta a essere persone serene, contente del bene compiuto e che non cercano le approvazioni umane».
Per questo dobbiamo avere «la pazienza di Dio». Non è facile, ma dobbiamo chiedere a noi stessi: «Davanti alle contrarietà ci rivolgiamo al Signore, gli chiediamo la sua fermezza nel fare il bene? Oppure cerchiamo conferme negli applausi, finendo per essere aspri e rancorosi quando non li sentiamo? Quante volte cerchiamo gli applausi, l'approvazione altrui? Facciamo quella cosa per gli applausi? No, non va. Dobbiamo fare il bene per il servizio e non cercare gli applausi. A volte pensiamo che il nostro fervore sia dovuto al senso di giustizia per una buona causa, ma in realtà il più delle volte non è altro che orgoglio, unito a debolezza, suscettibilità e impazienza. Chiediamo allora a Gesù la forza di essere come Lui... Di non essere vendicativi, di non essere intolleranti quando si presentano difficoltà, quando ci spendiamo per il bene e gli altri non lo capiscono, anzi, quando ci squalificano. No, silenzio e avanti».