Rubriche

E se Leopardi filosofo fosse solo un bluff?

Cesare Cavalleri mercoledì 13 febbraio 2019
L'irriducibile pessimismo leopardiano è messo a tema da Mario Elisei in un saggio disinvolto e incisivo dal titolo Il no disperato (Liberilibri, pagine 144, euro 13,00). L'autore, che collabora con il Centro Culturale Giacomo Leopardi di Recanati, non è intimidito dalla maestà dell'argomento, e arriva a considerare Leopardi «ineffabile come poeta ma assolutamente privo di presa come filosofo». Di più: «Demolire il ragionamento filosofico di Leopardi non è impresa ardua. Il suo pensiero non è lineare e non conduce a nessuna ipotesi praticabile». Attingendo soprattutto allo Zibaldone, Elisei estrae brani testuali per illustrare il pensiero del poeta. Nella biografia di Leopardi c'è una data spartiacque: il 1819. Il poeta, ventunenne, soffre di una grave oftalmia che gli impedisce di leggere, essendo la lettura l'unico suo svago e nutrimento. Benché il 1819 sia anche l'anno dell'Infinito, Giacomo è sopraffatto dalla noia e «la fede cattolica in cui era cresciuto gli appare ora una delle illusioni della vita». Reagendo a un saggio di Lamennais che valorizzava il contributo del cristianesimo alla pace in Europa dopo l'avventura napoleonica, annoterà nello Zibaldone (17 novembre 1820): «Quello che uccideva il mondo, era la mancanza d'illusioni; il Cristianesimo lo salvò non come verità, ma come una nuova illusione. E gli effetti ch'egli produsse, entusiasmo, fanatismo, sagrifizi magnanimi, eroismo, sono i soliti effetti di una grande illusione». Il poeta si abbeverò al sensismo di Condillac, all'empirismo di Locke, si convinse dell'esperienza come unica fonte di conoscenza, elaborò una teoria del desiderio per concludere che «tutto è male. Tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; l'esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell'universo è il male; l'ordine e lo stato, le leggi, l'andamento naturale dell'universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male». Elisei centra il bersaglio quando si domanda: «Ma perché il sistema filosofico di Leopardi non convince? Proprio perché non fu in grado di prendere sul serio tutto il suo desiderio, non fu in grado di guardare a sé stesso e alle vicende della sua vita con un equipaggiamento adeguato, l'equipaggiamento delle evidenze ed esigenze prime». Non mancarono a Giacomo amici fidati e credenti come Vincenzo Gioberti e Pietro Giordani che rispettosamente cercarono di riaprirlo alla prospettiva religiosa. E Francesco De Sanctis aveva colto un effetto boomerang interessante: «Leopardi produce un effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù e te ne accende in petto un desiderio inesausto. È scettico, e ti fa credente». Resta dunque insuperata «la contraddittorietà del sentire umano nell'esperienza di Leopardi», come Ignacio Carbajosa ha intitolato la postfazione al saggio di Elisei. Ciò non toglie che Giacomo, sul letto di morte, abbia gradito la presenza di un sacerdote, come ha testimoniato Antonio Ranieri, l'amico che lo assistette nei suoi ultimi sette anni terreni.