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E poi c'è chi oggi vorrebbe celebrare una festa "feroce"

Pier Giorgio Liverani domenica 8 marzo 2015
«Vorrei un 8 marzo feroce». Alla vigilia del centosettimo anniversario della Festa delle Donne, una certa stampa quotidiana e settimanale non ha reso un buon servizio a questa metà del Cielo. E nemmeno all'altra metà. L'invito alla ferocia è esplicito su La Repubblica (venerdì 6), perché Concita De Gregorio, già direttore dell'Unità, scrive che le donne «imparano col tempo che l'unico argomento a cui gli uomini attribuiscono valore è quello del ricatto... Il metro dell'etica è fastidioso per chi conosce e riconosce solo quello del potere... Ti conviene portare rispetto e fare silenzio, pagarmi quel che valgo, non insultarmi, non alzare le mani né la voce... perché rivelo quel che sei, ti denuncio, smetto di occultare la tua pochezza, ti rovino». Al ricatto maschile «bisogna purtroppo rispondere con cattiveria». La relazione uomo-donna, specialmente in casa, ridotta a ricatti e a ferocia. È questo il concetto laicista della famiglia? Natalia Aspesi (sempre su Repubblica c.s.) sembra condividere questo giudizio: «Oggi le donne, fuori casa, raggiungono livelli di potere (tranne quello del Papa) impensabili solo una decina di anni fa. La vera disparità resta in casa...» (ma quello del Papa è un ministero, cioè un servizio: minister, da minus, meno, e ter che indica un rapporto tra due persone). Nel discredito della donna L'Espresso è più sottile. Si occupa del flop della riproduzione eterologa discreditando l'animo solidarista della donna italiana. Questione solo di soldi: «Le coppie che sono riuscite a ottenere questa prestazione senza volare nei centri esteri, si contano sulle dita di una mano... In primo luogo perché non è previsto alcun compenso per le donne che scelgono di sottoporsi alla lunga e faticosa stimolazione ormonale che serve alla produzione di ovociti» e, in più, perché debbono subire «anche un tampone che certifichi l'assenza di infezioni locali come Candida e Clamydia». Ma la Corte Costituzionale sa quante sono in Italia le donatrici? «Due sole... Siamo impantanati», ammette L'Espresso. ADAMO E IL MEDIO EVO«Questo Papa, terzomondista, demagogo e pauperista non mi piace» perché «non parla mai del peccato originale» e attribuisce «l'umana malvagità al rapporto fra ricchi e poveri, al mondo moderno». Su Il Giornale (giovedì 5) Piero Ostellino accusa Francesco di «riproporre un modello reazionario di convivenza politica della specie di quelli che hanno tenuto l'uomo nell'oscurantismo medievale e negli schemi di un progetto razionalista il cui difetto è consistito proprio nel non tenere conto degli uomini come sono, ma di fondarsi sugli uomini come dovrebbero essere». A parte il solito richiamo negativista al Medio Evo, che invece ha visto una fioritura della letteratura, dell'arte, della filosofia e della fede, occuparsi dell'attuale scontro tra ricchi e poveri significa proprio prestare attenzione agli «uomini come sono» e convincerli a diventare «come dovrebbero essere». Cosa che, almeno parzialmente, è possibile a differenza del peccato originale, che tuttora pesa non eliminabile sull'umanità e la corrompe. AGIT-PROP GAYIl Piccolo (quotidiano di Trieste – venerdì 6) racconta la storia di due gay sloveni emigrati trent'anni fa negli Stati Uniti e ora rimpatriati con una bambina di dieci anni, adottata quando aveva appena un giorno. Sono due “agit-prop” (per i lettori più giovani: agitatori propagandisti del Pci) della grande lobby omosessuale che reclama il matrimonio tra gay. Hanno tanto battagliato che affermano: «Ci siamo sposati tre volte: la prima a Tahiti, la seconda nel 2010 in Connecticut e infine nel New Jersey». In Slovenia c'è la minaccia di un referendum abrogativo delle nozze omo da poco istituite, ma loro ne hanno una riserva.