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Dove nasce l'ispirazione per il poeta? A proposito di un libro che non ho scritto

Alfonso Berardinelli sabato 7 marzo 2009
Nel 1980 Franco Brioschi, che è stato il nostro più originale teorico della letteratura ed era in quegli anni consulente al Saggiatore, mi commissionò un libro sull'ispirazione poetica e sulle sue intermittenze. Non lo scrissi mai. La sola idea forte che concepii in proposito fu che le avanguardie novecentesche inventarono dei rimedi contro la mancanza di ispirazione. Si finsero sempre ispirate, proponendo metodi per produrre poesia senza averne voglia né avere qualcosa da dire. Le «parole in libertà» di Martinetti, le regole «per fare una poesia dadaista» escogitate da Tristan Tzara, la «scrittura automatica» di André Breton, l'abolizione delle inibizioni psichiche e delle regole formali da parte della Beat Generation e degli scrittori francesi di "Tel Quel": tutto mi pareva che andasse nella stessa direzione.
Si presupponeva che il produttore di poesie potesse non essere mai ispirato e che quindi doveva considerarsi sempre ispirato. Anche in campo poetico la civiltà occidentale del Novecento procedeva all'eliminazione metodica del rischio. In questo caso il rischio era l'afasia, la vuotaggine, il non avere niente da scrivere. Più che un libro sull'ispirazione, il mio poteva essere perciò un pamphlet contro le avanguardie.
Ora Alberto Casadei ha raccolto seriamente, senza saperlo, quell'invito di Brioschi: il risultato è Poesia e ispirazione (Sossella editore, pp. 89, euro 10), in cui si parte da Platone e si arriva a opere letterarie che «tendono sempre più a diventare (") parte del circuito informativo mass-mediatico». Se l'esito finale fosse questo «alla poesia come ispirazione e come forma di conoscenza sembrerebbe restare ben poco spazio».
Ma Casadei indica strade diverse e comincia citando il saggio teorico di un poeta di oggi, Giorgio Manacorda, che già nel titolo dichiara la sua tesi: La poesia è la forma della mente (2002).
Più e prima che essere uno specifico uso del linguaggio (secondo l'idea di Jakobson) la poesia nasce come omologia mimetica del reale funzionamento dei nostri cervelli e ne riproduce la complessità. Credo che sia vero.