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Dottore, non avrò mica un'avanguardite? I malanni dei letterati

Alfonso Berardinelli venerdì 11 marzo 2016
Fioriscono piccole, minuscole, nuove case editrici, ognuna con le sue speciali stravaganze. Dopo quella di Giometti e Antonello, ecco la Italo Svevo di Alberto Gaffi. Nella sua collana “Piccola Biblioteca di Letteratura Inutile” compare un Piccolo dizionario di malattie letterarie di Marco Rossari, prefazione di Edoardo Camurri (pagine 60, euro 10): che è una non-prefazione e in che modo lo sia, o non lo sia, lo capirà solo chi la leggerà. Forse il più malato di questo minimo libro sulle malattie letterarie è Camurri il prefatore, evidentemente affetto da una molto loquace forma di afasia (leggerlo per credere).La letteratura naturalmente è in se stessa una malattia: la malattia-antidoto con cui chi scrive cerca invano di guarire dai vari morbi da cui è afflitto: solitudine coatta, dispersività, odio del genere umano, spirito di perfezione, autismo anticomunicativo, ambizioni smodate o sbagliate, idealismo verbalistico, feticismo del nero su bianco e della forma-libro, eccetera. Alla lettera A incappo subito in un disturbo o vizio da cui sono forse a volte colpito: «Aforisma: forma di pigrizia cronicamente sentenziosa», alla quale personalmente posso rimediare con una fluente chiacchiera di tipo vagamente oratorio.Interessante e attuale è la malattia «Anacoluto: affezione di ceppo emiliano che, in nome dell'antintellettualismo, spinge il paziente a scrivere come un bambino di sei anni» (Celati? Cavazzoni? Colagrande?) a cui si può aggiungere la nonna da cui la precedente malattia discende, cioè «Avanguardia: morbo novecentesco che ha diseducato i pazienti allo stile e alla preparazione. – È avanguardistico. – No, è che non sa scrivere».Qui obietto: gli avanguardisti erano non poco ma troppo preparati, erano tutti professori che si fingevano antiprofessori. Eco e Sanguineti sembravano terrificanti geni perché erano soprattutto dei professori al quadrato e al cubo. Non solo scrivevano testi complicati e raccontavano barzellette, ma subito dopo ti facevano la lezione spiegandoti perché dovevi ridere o perché eri troppo ignorante per capire i loro giochi di prestigio. Del resto il dizionarietto contempla anche il disturbo che prende il suo nome da Eco: «singolare tendenza nel paziente a far parlare tutti i personaggi come un professore di semiotica».