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Distanziati? Mica tanto... Il virus delle celle piene

Lucio Boldrin giovedì 28 maggio 2020
La pandemia ci ha portato a riflettere sul cambiamento della nostra socialità. Un processo dal quale non dovrebbe essere esente la realtà carceraria, invece... Invece in carcere il martellante richiamo al distanziamento fisico non vale, con la sola, illogica eccezione delle Sante Messe: si tratta di non più di 15-20 persone per celebrazione, persone che condividono quotidianamente stanze dove si trovano in 5 o 6 in uno spazio di 25 metri quadrati, giocano a calcio insieme, colloquiano tra loro nei corridoi per ore, giocano a carte o a ping pong, lavorano insieme, studiano insieme. Insomma, vivono l'uno accanto all'altro per tutto il giorno. Però alle Messe viene imposto il distanziamento fisico e un numero limitato di partecipanti.
Ringraziando Dio, le altre misure prese sembrano aver funzionato: nessun caso di positività si è verificato, fino a oggi, a Rebibbia Nuovo complesso, dove sono presenti più di 1.500 detenuti su una capienza regolamentare di 1.220. Si tratta, in realtà, dei dati attuali, che risentono dell'effetto di alcune detenzioni domiciliari decise per rischio di contagio da Covid-19. In altri periodi, il numero dei detenuti è stato anche superiore a 1.600 unità. Da qui la necessità di guardare oltre la contingenza e impegnarci per offrire ambienti più idonei a tutti. Non solo ai reclusi, ma anche a coloro che in carcere lavorano.
Come? Utilizzando ciò che la legge già permette. A cominciare da un maggior ricorso alle pene alternative: domiciliari; braccialetto elettronico; lavoro esterno presso associazioni e cooperative; accoglienza nelle Rems per i malati psichici; comunità con un progetto di recupero per i tossicodipendenti; applicazione delle norme che prevedono i domiciliari o l'affidamento ai servizi sociali per le persone sopra i 75 anni e per coloro che hanno una pena da scontare inferiore a 4 anni; minor ricorso alla custodia cautelare in carcere; sanzione economica al posto del ritorno in cella per residui di pena brevi, dopo anni in cui magari l'ex detenuto si è rifatto una vita, una famiglia e ha trovato un lavoro onesto.
C'è poi il tasto dolente delle "carceri fantasma", circa 40 da Nord a Sud: costruite, inaugurate e mai utilizzate, oppure aperte e sfruttate solo in parte. Dismesse. Demolite. Uno spreco di denaro pubblico e di spazio, in un Paese dove la maggior parte dei penitenziari è sovraffollata e i detenuti, insieme con gli agenti, vivono in condizioni al limite della sopportabilità. Eppure, secondo la nostra Costituzione, «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Ancora non ci siamo.
Padre stimmatino, cappellano
Casa circondariale maschile
"Nuovo Complesso" di Rebibbia