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Coronavirus. Le parole che non ho detto

Alberto Caprotti domenica 22 marzo 2020

Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…

Giorno 11

Ho capito solo “smart worki”. Ha detto proprio così. Avevo gli occhi a mezz’asta, e le orecchie impanate da troppe cifre, sempre uguali, sempre peggio. Ma ho tenuto anch’io la tv accesa nella notte aspettando le parole di un uomo che fa tenerezza, i minuti che passano e niente, lui che non arriva. E quando arriva, vuol dire che si chiude. Tutto, quasi, tranne, forse, circa, fino a boh. Però “insieme ce la faremo”: è la sigla di coda che ogni volta non termina niente, la stessa dell’altro ieri, di 800 morti prima.

Lo perdono, ormai mi sono abituato agli annunci al buio, l’ora dei pipistrelli, quelli dai quali infatti forse tutto è iniziato. Dopo era ancora più buio, fuori e nella testa, ma non ho dormito più. Friggevo nelle lenzuola cercando di capire quali fossero le “attività essenziali”. Sono così affezionato al superfluo che non le distinguo più, ma l’uomo che parla di cose più grandi di noi e purtroppo anche di lui, non le spiega. Dice solo che restano aperte solo “le attività strategiche”, e lì mi è salita l’angoscia da prestazione: perché i giornali non chiudono e io che ci lavoro dentro vorrei sapere se davvero, quanto e perché sono “strategico”, nel senso di indispensabile. Non lo sono ovviamente, non lo è nessuno tranne i medici e gli infermieri. Chi fa il mio mestiere da offrire ha solo le parole, ed è poca cosa nel silenzio assordante che ci avvolge tutti.

Ma bisogna andarci piano anche con le belle parole, perché devi assomigliarle, altrimenti non ti crede nessuno. E poi arriva il momento in cui bisogna dimostrarle. Le parole adesso servono soprattutto a raccontare, magari a spezzare la solitudine di chi ha solo quelle da ascoltare quando mancano i volti, gli abbracci e i baci. Le parole oggi contano di più. Contano quelle che dici ai tuoi genitori al telefono, quelle che non hai ancora detto, quelle che i ragazzi scrivono su whatsapp ai nonni dopo avergli installato la videochiamata sul cellulare che per loro è incredibile meraviglia. Contano come e quanto il sole fuori, che oggi è troppo pallido, e cambia molto. Perché lascia un gelo nelle ossa che non ti rassegni ad accettare e che devi fare in fretta a ricoprire. Oggi chiamerò una volta in più, e con più fiato caldo dentro. Questo solo ho capito ieri notte. Oltre a “smart worki”.