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«Diamanti di sangue» ma il Belgio non cede

Gianfranco Marcelli domenica 5 marzo 2023
Uno degli slogan pubblicitari più famosi e longevi di tutti i tempi sostiene che “un diamante è per sempre”. Una ironica conferma sembra arrivare dall’interminabile braccio di ferro nell’Unione europea, sull’opportunità di bloccare o no l’importazione dalla Russia delle ambite gemme: un business che frutta oltre tre miliardi e mezzo di euro l’anno a Mosca. Anche nell’ultimo pacchetto di sanzioni contro la guerra, varato a fine febbraio, malgrado la pressante richiesta dell’Ucraina e di altri governi europei, l’embargo non è passato. E ancora una volta, è stato il rappresentante belga a bloccare la decisione. È nota la ragione per cui Bruxelles alza le barricate. Il distretto che domina la lavorazione mondiale dei preziosi è ospitato in un famoso quartiere di Anversa, in cui si concentra l’85 per cento del commercio di pietre grezze e il 50 per cento di quelle lavorate. Il tutto, per un giro d’affari annuale di quasi 40 miliardi di euro. Circa un quarto delle importazioni proviene dalle miniere siberiane, di proprietà di un’impresa controllata per due terzi dallo Stato russo. I gioiellieri fiamminghi, timorosi di perdere i loro introiti, giurano che sarebbe inutile e perfino controproducente vietare l’import, perché l’embargo verrebbe sicuramente aggirato da Putin. La Russia, secondo loro, come ha fatto già in parte con gas e petrolio, potrebbe trovare facili sbocchi alternativi, per esempio in Medio Oriente o in India, oggi centrali secondarie di lavorazione. Da lì poi i diamanti potrebbero rientrare in Occidente, con il risultato di non provocare danni alle casse dell’aggressore e forse di infliggere maggiori costi ai Paesi compratori. Anche perché i mercati di approdo e di vendita finale restano al 70 per cento gli Stati Uniti e l’Europa. Eppure anche in Belgio ora si ammette che continuare a finanziare la guerra contro l’Ucraina è sempre più difficile da giustificare e quindi moralmente insostenibile. Lo stesso premier De Croo ha detto di recente che quelli russi sono “diamanti insanguinati”. Gli imprenditori del settore provano allora a suggerire una via alternativa: concordare un “tracciamento” a livello mondiale delle pietre, che i Paesi compratori potrebbero imporre grazie alla loro forza contrattuale. Se - dicono - si riuscirà a garantire una sufficiente trasparenza dei prodotti, certificandone la provenienza, Mosca non potrà contare più di tanto su Dubai o Mumbai. Anzi, proprio il conflitto in corso offrirebbe adesso l’occasione per agire. Ma l’idea appare debole, perché molte pietre grezze smerciate sottobanco potranno restare tali anche dopo la lavorazione. Inoltre l’invasione in Ucraina ha già provocato un certo calo di vendite dalla Russia e non sembra che gli affari dei gioiellieri di Anversa ne abbiano sofferto troppo. Non a caso, l’imbarazzo negli ambienti politici di Bruxelles cresce e diversi partiti che sostengono il governo di De Croo hanno preso posizione per l‘inserimento dei diamanti nell’ultimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Si è prodotta un’aperta spaccatura fra il primo ministro e una parte dei suoi sostenitori, in testa verdi e socialisti, che hanno presentato anche una mozione in Parlamento. Non è però bastato a convincere il governo, che ha mantenuto il suo veto nella trattativa fra i Ventisette. Si sa che i diamanti sono, oltre che tra i più preziosi, i più duri in assoluto tra i minerali esistenti in natura. Qualità che sembra estendersi a quanti ci guadagnano sopra. Durissimi anche loro, forse troppo. © riproduzione riservata