Rubriche

Dentro e fuori

Laura Bosio mercoledì 21 novembre 2012
Nel carcere di Bollate, di cui ricevo via mail la rivista, una cooperativa di volontari liberi e di detenuti si prende cura delle serre poste tra i reparti maschili e il reparto femminile. La frutta, la verdura e le piante lì coltivate, vengono vendute. Sono spesso varietà insolite, erbacee perenni, rose antiche, lavande particolari. Una di queste piante è la Leycesteria formosa, usata nell'Ottocento per i giardini vittoriani e poi dimenticata. In Italia era quasi sconosciuta. È un arbusto che proviene dal sud ovest della Cina ed è molto diffuso sull'Himalaya, tanto che il suo nome popolare è Caprifoglio dell'Himalaya. Viene chiamato anche Bacca del fagiano, perché in autunno, dopo la fioritura, produce delle bacche rosso scuro amate dagli uccelli. Non sono tossiche per l'uomo, ma molto amare. Per un anno, i detenuti giardinieri, che come gli altri incontrano famiglia, moglie o marito, fidanzata o fidanzato nello spazio e nel tempo, per nulla intimo, destinato ai colloqui, hanno trasformato la Leycesteria in pianta "amorosa": sollecitati da quell'aggettivo così pieno di promesse, "formosa", che in latino vuole dire semplicemente bella, di forma gradevole. Appendevano ai vasi dei cartellini speciali, non con il nome botanico, ma con un desiderio. Per un anno, prima che qualcuno se ne accorgesse, gli acquirenti, ignari, hanno portato quel desiderio fuori dalle mura, nel mondo.