Rubriche

Dalla crisi ucraina a Mani Pulite ritorna in pagina il grande azzardo

Umberto Folena sabato 19 febbraio 2022
Come per la musica da ascensore, anche le notizie dal fronte ucraino ormai sono in loop, una continua replica. Ieri (18/2), in prima pagina, ritornano i titoli soliti. “Corriere”: «Prove di guerra in Ucraina. Biden: Mosca vuole invadere». “Stampa”: «L'Ucraina sull'orlo della guerra». “Repubblica”: «Kiev, punto di rottura». “Giornale” (ma a pagina 10): «Invasione imminente», magari un mercoledì, quale non si sa. In certi momenti hai l'impressione che nelle interpretazioni si tiri a indovinare. Il titolo al commento di Franco Venturini (“Corriere”), «L'azzardo dell'acrobata» è riferito a Putin ma anche ai poveri giornalisti, acrobati della parola. Gianni Riotta (“Stampa”): «Biden e l'arma della trasparenza», in sintonia con l'ex capo della Cia, Leon Panetta, intervistato da Viviana Mazza: «In passato le agenzie erano più caute, perché temevano di rivelare le fonti, ma hanno capito che possono declassificare senza rischi molte più informazioni. Hanno rivelato tutto quello che vedono i russi fare». I quotidiani militanti, più concentrati sulla realtà italiana nel palese intento di descriverla, ma anche orientarla, ormai all'Ucraina dedicano la stessa attenzione della musica da ascensore: un rumore di fondo privo di interesse (“Libero” in prima non ha nulla, neanche uno strillo striminzito). Meglio Davigo, meglio i 30 anni di Mani pulite. E qui i due interventi più interessanti sono di Michele Serra (“Repubblica”), che rende omaggio a Sergio Cusani (titolo: «L'intelligenza dopo la tempesta»): «Lo conobbi tanti anni fa, ai domiciliari, era l'imputato star di Tangentopoli. Mi sembrò una persona notevole, ma ero accecato dai miei pregiudizi, che mi impedivano di vedere in un colpevole un uomo stimabile. Non glielo dissi allora, glielo dico adesso, trent'anni dopo». E di Mattia Feltri (“Stampa”): «Da molti anni ritengo Mani Pulite un grande abbaglio» con i giornalisti a «sferruzzare i loro articoli da tricoteuse». E qualcuno non ha mai smesso.