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Dai ricchi scemi al paziente inglese

Italo Cucci venerdì 22 gennaio 2010
Mi invitano periodicamente a dibattiti sul tema «Calcio e etica» che prende l'avvio, sempre, da Calciopoli e si allarga alla violenza e al (presunto) razzismo dei tifosi italiani. Tutto in nome di un perbenismo nel quale eccellono le numerose Maestrine dalla Penna Rossa annidate nei media. E mai - dico mai - qualcuno che faccia riferimento al vero malcostume pallonaro rappresentato dalla gestione economica del settore. Sì, sentiamo e leggiamo spesso che circolano troppi soldi, che calciatori, procuratori e mezzani vari s'arricchiscono a dismisura: ma è solo mero qualunquismo, esplosioni demagogiche che non lasciano traccia e, soprattutto, non risolvono il problema. Basta prender nota - come in questi giorni - degli Affari del Calciomercato, vergognosamente contrastanti con la disastrosa realtà economica che affligge milioni di concittadini. Secondo un criterio a dir poco ipocrita, molte notizie vengono collocate in settori diversi per evitare - ma alla fine è impossibile - scomodi accostamenti. In queste ore leggo due notizie: la Juve trema perchè il mitico Manchester United ha offerto un ingaggio di 4 euromilioni l'anno all'ottimo Chiellini proprio mentre la Signora è afflitta da problemi economici; e in altra pagina si racconta che il mitico Manchester United - indebitato per 723 euromilioni - sta facendo una colletta presso i propri calciatori per evitare il fallimento. Voi fareste un accostamento fra i due argomenti? Io lo faccio, da sempre: ma nessuno ci fa caso. Adelante, amigos, all'insegna della follia. Quante volte ci hanno spiegato che il nostro calcio dovrebbe prendere esempio dall'Inghilterra e dalla Spagna, illuminate dominatrici della scena europea, spingendo società oggi disastrate come Roma e Lazio ad entrare addirittura in Borsa con esiti catastrofici. Adesso ci presentano i conti dei due Manchester, del Chelsea, dell'Arsenal, del Real Madrid, del Valencia e del Villareal spaventosamente in rosso senza alcuna sottolineatura non dico etica ma almeno economica; come dire: attenti, avanti così e il calcio affonda. In Italia, fra l'altro, non si vede attivo il Pronto Soccorso di emiri, sceicchi, tycoon americani e satrapi russi. Nel 2003 pubblicai un trattatello sullo stato economico del calcio italiano per evidenziare un drammatico particolare: tutti i club che hanno vinto uno scudetto al di fuori dell'area di potere rappresentata da Juve, Inter e Milan, avevano pagato presto o tardi l'impresa - nel tentativo tecnicamente riuscito di imitare le Grandi - con il fallimento economico e (Lazio e Roma escluse) - con la retrocessione in B o in C. Riassumo: Bologna '64, Fiorentina '69, Cagliari '70, Lazio '74, Verona '85, Napoli '87, Sampdoria '91. Il Torino '76 ha evitato il fallimento ma naviga da oltre trent'anni in cattive acque. La Lazio 2000 è stata salvata dalla politica e dallo Stato generoso. La Roma '83 e 2001, non fallita, è crollata dopo il primo scudetto e non si è più ripresa dal secondo. Cito le parole di Giulio Onesti nel 1958, quando la Nazionale mancò la qualificazione mondiale: «In questo Paese economicamente disastrato, il calcio si dissangua per acquistare giocatori stranieri. I dirigenti si fanno spesso guidare dal tifo e stupisce che fra costoro vi siano grandi imprenditori che reggono con oculatezza grandi aziende. Come si conciliano le spese da nababbi con i disastrosi bilanci delle società? Ci facciamo rider dietro da mezzo mondo come i ricchi scemi del calcio». Era il 1958.