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Cultura in tv, sì ma con giudizio

Alfonso Berardinelli venerdì 15 dicembre 2017
Nelle trasmissioni culturali televisive circolano molte immagini ma anche molte idee, a volte da non perdere, a volte su cui riflettere. Ricordo una magnifica serie di Tomaso Montanari dedicata a Caravaggio qualche mese fa e poi replicata, ma soprattutto mi ha colpito e commosso alcuni giorni fa una lunga, eccellente intervista dei Dieci comandamenti al direttore d'orchestra Ezio Bosso, che proprio convivendo con le sue difficoltà fisiche rivelava quanto si può amare e capire l'arte e la vita, quale gioia può dare essere vivi usando proprio i limiti che ognuno di noi ha. Per tutto il tempo di quell'intervista ho avuto la certezza che solo lottando ogni giorno con i propri mali, alcuni individui sono riusciti a trasmettere agli altri quella particolare felicità che può sprigionare dall'esperienza della perdita e della lotta contro il dolore.
Più spesso, purtroppo, in trasmissioni anche interessanti si sentono esprimere idee che basta pensarci un momento per scoprirne l'assurdità, la faziosità o il fanatismo. Sabato scorso si discuteva delle distruzioni cieche compiute dal Daesh due anni fa nell'antichissima città di Palmira in Siria, nel cui museo erano custoditi tesori di incalcolabile valore storico, archeologico, antropologico. L'anziano studioso e curatore del museo, Khaled Asaad, non fuggì, si rifiutò di lasciare il suo posto nella generosa fiducia che la sua semplice autorità e fedeltà alla custodia di quel museo avrebbero fermato ogni volontà distruttiva dei miliziani islamisti. Non fu così. Quel luogo fu devastato e lo studioso è stato ucciso.
Dopo aver intervistato eminenti archeologi, il conduttore della trasmissione si è rivolto allo storico del Novecento Giovanni De Luna, che ha sottolineato una netta distinzione fra ciò che è memoria e ciò che è storia. Il culto della memoria sarebbe da evitare perché pericolosamente “identitario”. Più obiettivamente e scientificamente, secondo lo storico, dovremmo invece dedicarci allo studio e alla conservazione dei documenti. Insomma la presenza attuale del passato deve essere cosa per professionisti e non memoria diffusa di un popolo. Abbasso i popoli che conservano memoria, evviva gli accademici che lavorano negli archivi. Certo, una comunità senza storici può rischiare mitologie e fanatismi. Ma non vedo per chi e per che cosa gli studiosi di storia studiano la storia, se la memoria identitaria fa così male al genere umano. Un mondo senza varietà identitarie non è forse come una foresta di alberi tutti uguali?