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Critica e religione la lezione del '900

Alfonso Berardinelli venerdì 2 luglio 2021
A proposito di rapporti fra cultura e società, più precisamente fra pensiero critico e cultura del capitalismo, ho ricordato in questi giorni l'opinione di due pensatori come Albert Camus, teorico dell'assurdo e della rivolta, e Max Horkheimer, marxista eterodosso. Camus disse una volta che non credeva in Dio, ma considerava assolutamente volgare la cultura antireligiosa. Horkheimer affermò che quella religiosa era una dimensione “altra” e utopica rispetto alla società presente e di cui il pensiero critico non poteva privarsi senza danneggiare sé stesso. Procedendo per libere associazioni, mi sono allora venuti in mente i casi di altri tre autori centrali del secolo scorso, Thomas S. Eliot, Simone Weil e Erich Auerbach. Come critico della società Eliot, grande poeta, si è impegnato a fondo nel discutere due posizioni opposte: quella di chi considera la religione una componente essenziale dell'umanesimo e quella di chi viceversa contrappone l'umanesimo alla religione. Nel saggio del 1939 L'idea di una società cristiana si leggono queste semplici frasi: “È bene dire chiaro e netto che non è possibile alcun modus vivendi durevole tra la Chiesa e il mondo”. E la conclusione dell'intero saggio è: “La Chiesa deve rispondere perpetuamente a questa domanda: perché siamo nati? qual è il fine della vita umana?”. Simone Weil, grande filosofa, nel suo testamento politico e spirituale La prima radice, scritto nel 1942-43, con la guerra in corso, scrive: “La divina provvidenza non è un turbamento o una anomalia nell'ordine del mondo. È l'ordine stesso del mondo”. E anche: “La scienza dell'anima e la scienza sociale sono ambedue impossibili se la nozione di soprannaturale non è rigorosamente definita e introdotta nella scienza come nozione scientifica”. Erich Auerbach, grande critico letterario, nella sua opera maggiore, Mimesis. La realtà rappresentata da Omero a Virginia Woolf, pubblicata nel 1946, usa la letteratura, analizzata testo per testo, in vista di una ricostruzione storica stilistica e morale della cultura dell'Occidente, fra il classicismo greco-romano di tipo aristocratico e la tradizione giudaico-cristiana che con il suo “realismo creaturale” annuncia l'etica democratica. Ho citato tutti autori della prima metà del Novecento, epoca tragicamente moderna da cui non si finisce di imparare.