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Così la connessione perpetua indebolisce le nostre relazioni

Alfonso Berardinelli venerdì 6 gennaio 2017
Ricevo da qualche tempo, per posta, in buste da lettera, una stravagante, singolarissima rivista intitolata I Molti. Una rivista che sembra umilissima o è forse straordinariamente snob. Un solo foglietto di 16 per 11 centimetri piegato in due, «a ritmo variabile di stampa,composto e redatto da Maries Gardella e Andrea Parravicini». Nelle quattro esigue facciate compaiono testi di vario genere, sempre o quasi sempre (non so) inediti: prose, semiprose, poesie, pensieri. Testi che spesso mi sono parsi pretenziosi o ingenui nella loro scarsa comprensibilità. Un minimo universo underground e secessionista come oggi piace a parecchi giovani che non riescono a digerire il prezzo che la società impone per imporsi, arrivare, scalare, avere successo mettendocela tutta (l'anima) per raggiungerlo. Uno dei pochi testi che I Molti offre a pochi, e che ho letto con attenzione e consenso, è firmato da Gino Giometti, uno dei due fondatori e direttori della Quodlibet, che ha recentemente lasciato la casa editrice al suo amico e socio Stefano Verdicchio. Il titolo del minimale saggio di Giometti è «Intimacy, Togetherness, Connectivity». L'inglese è oggi anzitutto la lingua della globalizzazione, del potere economico e dell'informatica, perciò è ovvio usarlo in contesti che indicano fenomeni planetari e (si può dire) sempre più disumanizzanti. È su questo che si sofferma Giometti. Fra l'intimità e lo stare insieme c'è la connettività. Questo essere informaticamente connessi crea e modella sia i rapporti intimi con se stessi che la socialità e contatti con gli altri. Il fenomeno è «per il momento imponderabile perché non sembra avere veri e propri precedenti storici». La mutazione antropologica in atto ha «dimensioni ben più epocali rispetto a quella riscontrata da Pasolini negli anni '50 e '60 in Italia (...) La connettività si abbatte come una catastrofe» dice Giometti, sulla vita della mente: «I social network ci inducono a mettere in rete la prima cosa che pensiamo durante la giornata». Quando tutta la memoria è «in rete», nella memoria personale si produce un vuoto e senza l'uso della macchina non si riesce a pensare. Tecniche varie per comunicare superando la distanza, ci sono da secoli. Solo che oggi le tecniche di contatto connettono di continuo con il remoto, indebolendo la connessione con ciò che è fisicamente prossimo, e perfino con la propria intimità.