Rubriche

Cosa dice la mia voce (e un robot non può)

Salvatore Mazza giovedì 5 novembre 2020
Non non parlo più. D'accordo, non è una notizia. Qualcuno forse ricorda cosa scrissi poco più di un anno fa, riprendendo questo diario dopo la pausa estiva: raccontavo proprio di come dal giugno precedente la mia voce si fosse guastata al punto che il programma di controllo vocale e dettatura con cui governavo il mio computer non riusciva più a capire comandi e parole. Ciononostante ho continuato per quasi un anno a far finta di niente, illudendomi che i grugniti sempre più inintelligibili che uscivano dalla mia gola potessero essere ancora definite "parole" e fossero comprensibili. Solo moglie e figlie riescono ancora a decifrare quello che, con sempre maggiore fatica, cerco di dire, ma credo che sia più lettura del pensiero che decifrazione dei suoni. La cosa più divertente - se di divertimento si può parlare in questo caso - è quando ci sono ospiti, e devono (mia moglie in particolare) fare da interprete. Io grugnisco e lei traduce. Che dà anche a un incontro tra amici un po' il tono di una visita di Stato.
Ma questo, appunto, fino a quando non ho fatto pace con la realtà, e non mi sono detto: ok, non parlo più. E ho iniziato a usare davvero - non solo per giocare - il programma di comunicazione regalatomi un anno fa da amici tedeschi assieme al puntatore oculare che uso per scrivere (con gli occhi, appunto). Una cosa che non avevo preso troppo sul serio, un po' perché mi illudevo di non averne davvero bisogno, un po' perché molto onestamente la voce un po' robotica che viene fuori dal pc non è che sia proprio bella, anzi.
So che adesso, a chi ha la Sla come me ma è ancora in grado di parlare, fanno registrare il maggior numero possibile di parole che poi verranno immesse nel programma di comunicazione di quello stesso paziente, così che alla fine il computer "parli" con la voce propria di quella persona, e non col risultato di un sintonizzatore vocale. Quello che però mancherà, sempre, è l'intonazione, quella capacità che abbiamo di significare con un accento, un tono, una pausa in più o meno, la profondità di un sentimento, la sincerità, il desiderio che abbiamo di metterci in relazione con l'altro. Nessun computer potrà mai dire alle mie figlie "ti voglio bene" come lo direi io, come davvero uscirebbero dalla mia bocca quelle parole se solo potessi ancora parlare. E lo stesso per molte altre cose. Invece per dire solamente "ho fame", "ho sete", "ho sonno", la voce di un robot basta e avanza.
(41-Avvenire.it/Rubriche/Slalom)